Non tutti sanno che Hannibal è solamente il terzo libro della serie di Hannibal Lecter che conta, complessivamente, 4 volumi.
Io ho deciso di leggerli tutti e quattro prima di visionare film e serie tv, ma la mia esperienza fino ad ora non è stata molto appagante.
Non ho apprezzato affatto Il delitto della terza luna e ho ritenuto appena sufficiente Il silenzio degli innocenti. Nonostante abbia ormai capito che io e Thomas Harris abbiamo due idee contrapposte degli elementi fondanti di un buon thriller, mi sono intestardita e ho voluto iniziare anche Hannibal, in cui speravo, vista la maggiore presenza del cannibale più acculturato ed esteta della storia, di poter provare quella scintilla che ancora mancava tra me e l'autore.
L'incipit non riserva sorprese: si deduce che la protagonista del volume sarà Clarice Starling e lo stile è lo stesso che abbiamo imparato a conoscere nei due romanzi precedenti. Senza dire di che libro si trattasse, come faccio spesso, ho chiesto sui social se questo inizio promettesse bene o no: la percentuale di no è stata la più alta mai ricevuta, questo fa comprendere, secondo me, come la fama di autore e protagonista possano incidere sulla gradevolezza della lettura.
Lo stile dello scrittore, se non all'inizio, riserva sorprese lungo il cammino. Si percepisce che Harris in questo romanzo volesse salire di livello, donando ulteriore valore al suo scritto. Alla normale narrazione, infatti, vengono aggiunti molti elementi culturali e alcuni esercizi di stile.
Ogni tanto il narratore si rivolge direttamente a noi, consapevole della nostra presenza. In questi momenti la narrazione passa dal passato al presente.
Per quanto, inizialmente, abbia considerato favorevolmente questo aspetto (una maggiore cultura è sempre la benvenuta), ho trovato che esso non si sia riuscito a fondere con la scrittura "solita" dell'autore, rendendo una narrazione "a macchie" che non convince pienamente.
Nei dialoghi lo stile utilizzato è sempre (o quasi) volgare, esplicito e fuori dalle righe.
Un aspetto che contrasta totalmente con il mio gusto personale è la resa dei personaggi. In tutti i suoi volumi letti sino ad ora, ho avuto enorme difficoltà a ritenerli interessanti e, anche in questo caso, il problema si è ripresentato. Inizialmente li ho ritrovati anche con piacere, perché conoscevo già le loro pecche e quindi ero più preparata, ma la loro caratterizzazione (specie dei personaggi nuovi) riesce sempre a colpirmi in maniera negativa.
Non si può dire che Harris non sappia caratterizzare un personaggio: il problema è che ognuno di loro (con l'eccezione di Lecter) è sgradevole, ignorante, superbo, violento, volgare o meschino (o, il più delle volte, tutto ciò insieme). Nei suoi scritti nessuno, nemmeno la protagonista, ha un briciolo di quella che io considero umanità. Sono ben consapevole che in tutti vi siano anche aspetti negativi e io sono la prima ad apprezzarli se circoscritti, ma un intero libro di persone fatte così, ai miei occhi, diventa noioso, ripetitivo e, soprattutto, eccessivo.
Persino nelle frasi generali in cui l'autore vuole esprimere concetti che siano veri per tutti, non riesce a trovarmi d'accordo.
Oggi che la smania di rappresentazione ci ha resi insensibili alla volgarità e alle oscenità, è istruttivo stabilire che cosa ci sembri malvagio, che cosa colpisca ancora la viscida flaccidità della nostra rassegnata coscienza con tanta forza da risvegliare la nostra attenzione.
Unica eccezione è il vero e proprio protagonista della vicenda: Hannibal. Colui che dovrebbe apparire come il mostro della situazione diventa, ancora una volta, baluardo del buon gusto, dell'educazione e della cultura. Harris sottolinea molto questi aspetti per poi colpire il lettore grazie all'antitesi che si crea necessariamente con l'altro lato del "carattere"di Lecter, cioè il suo cannibalismo. Quasi come se, per bilanciare questi insospettabili pregi, si dovesse accorrere al concetto più ferale e disumano possibile.
In una persona, una caratteristica non cancella tutte le altre. Possono convivere fianco a fianco, le buone e le terribili.
Io non metto in dubbio che Harris abbia deciso consapevolmente di rendere i personaggi in questo modo.
È praticamente certo che le banalità, le volgarità, i continui cliché e le generalizzazioni ignoranti che fuoriescano dai dialoghi dei suoi personaggi e dai loro pensieri (vi rimando alle citazioni per averne un assaggio, seppur minimo), siano frutto di semplice fantasia e non coincidano affatto con il modo di pensare dell'autore.
Il motivo di questa scelta, però, continua a sfuggirmi.
Un libro con soli cattivi, per giunta privi di qualsiasi pregio, è per me un romanzo a metà.
Quando passò un furgone con l'insegna dei disabili, Starling si accorse che dall'interno la fissavano, ma gli afflitti sono spesso sfacciati, e hanno il diritto di esserlo.