«Occhio malocchio, nero di pidocchio, diavolo spauracchio, scarafaggi in crocchio. Via da me. Via, via, via. Esci-languisci-sparisci!».
Peredonov, il demone meschino è un romanzo russo pubblicato a puntate nel 1905.
Romanzo molto celebre, rimane l'unica vera e propria grande opera finita e pubblicata dell'autore che, successivamente, cadde in disgrazia, potendo ricominciare a scrivere solamente molti anni dopo. Per questo motivo, per i più scaramantici, il romanzo potrebbe essere attorniato da una sorta di aura di mistero: infatti Peredonov, il protagonista di quest'opera, è un professore così come lo era Sologub ed è inevitabile accostare la figura dei due uomini (paragone ben poco gentile per qualsiasi essere umano), sebbene lo scrittore fosse un insegnante ben diverso da quello descritto nel suo romanzo.
Parto con il dire che mi sono informata al riguardo di questo testo per capire le interpretazioni dei critici perché la mia persona chiave di lettura mi sembrava eccessivamente azzardata e desideravo rivederla sotto un'altra luce. In realtà, molte delle idee che ho avuto sono riconfermate anche dagli esperti che ho letto, perlomeno sul protagonista. Sui personaggi in generale, invece, non ho trovato nulla e, perciò, non so se ciò che vi dirò potrà essere altrettanto condivisibile.
Ho letto questo libro grazie al mio abbonamento a Kindle Unlimited, per chi non lo sapesse è un abbonamento Amazon che costa 9.99€/mese che permette di leggere quanti eBooks si desidera in un catalogo piuttosto ampio e vario. Io solitamente ne approfitto per leggere i libri Fazi Editore disponibili, che sono tantissimi e, spesso, presentano in catalogo classici altrimenti introvabili. Questa edizione mi ha soddisfatta a livello di traduzione ma non presenta alcun tipo di introduzione, studio critico o approfondimento sul testo che, invece, ha alle spalle un importante retaggio per la letteratura russa. In cartaceo esiste anche l'edizione Garzanti (QUI su Amazon) in cui, se ho ben capito (non l'ho quindi non garantisco) esiste anche una prefazione.
Il titolo (che varia da Peredonov, il demone meschino a solamente Il demone meschino) è esplicativo di ciò che troveremo sin dall'inizio del testo: un uomo crudele, gretto, cattivo e superficiale che si fa odiare sin dalle prime righe. Quest'uomo tiene conto degli altri esseri umani solamente in funzione della loro potenziale utilità, adora far frustrare i suoi alunni senza alcun motivo, ha convinzioni e pregiudizi razzisti sui polacchi, maltratta la sua donna sputandole anche in viso e vessa persino il gatto di famiglia, reo semplicemente di passare accanto a lui nel momento sbagliato.
«Ci sono persone di ogni tipo sia tra i russi che tra i polacchi», rispose.
«No, è come dico io, davvero», insistette Peredonov. «I polacchi solo stupidi. Sanno solo darsi delle arie. Prendete gli ebrei: quelli sì che sono intelligenti».
Da questa descrizione (che rappresenta solo una parte delle azioni riprovevoli che gli si possono attribuire) la natura demoniaca del personaggio traspare con evidenza.
Nel titolo, però, troviamo non a caso anche il termine meschino che, da un lato, può essere considerato un rafforzativo della malvagità del personaggio ma che, in realtà, nasconde qualcosa di più. Peredonov si rivela be presto una persona paranoide, certamente cattiva e deleteria per gli altri ma mai quanto per sé stessa. Vive perennemente nella paura generalizzata: teme le risate altrui, di essere preso per il naso, di ammalarsi, di essere denunciato, di essere ucciso e, persino, di essere sostituito da una controfigura. È un uomo, dunque, che non vive felicemente; un cattivo che non gioisce ma soffre perennemente.
Peredonov li guardava sospettoso: se qualcuno rideva in sua presenza e lui non sapeva di cosa, pensava sempre che si ridesse di lui.
Per questa motivazione, lo si comincia a vedere più come "demone meschino", cioè un cattivo sopraffatto però da qualcosa di più grande, limitato e povero. Un inetto ante litteram che, nonostante la sua abiezione, rischia di diventare il nostro personaggio preferito anche a causa dell'evidente limitatezza mentale e culturale che si estrinseca in un'ingenuità (proprio a lui che pensa di non credere a niente!) senza pari.
A Peredonov non piaceva riflettere. Credeva sempre immediatamente a quel che gli veniva detto.
Gli altri personaggi, infatti, appaiono ben più demoniaci e, soprattutto, meno meschini di lui. Tutti, specialmente quelli che gli stanno più intorno, agiscono con i suoi stessi principi: guardano esclusivamente al guadagno e al profitto, fregandosene dei sentimenti degli altri e trattando il loro prossimo a volte anche in modo disumano. Non solo non frenano né rimangono sopraffatti dagli istinti di Peredonov ma li usano a loro favore anche solo per volontà di dileggio. Anche nelle descrizioni si nota la loro valenza negativa: sono infatti spesso persone sporche, trasandate, amanti del caos e della distruzione. Allo stesso tempo, leggendo anche dal loro punto di vista, i loro pensieri, terribili, ci sembrano quasi normali, se non giusti perlomeno, alla lunga, giustificabili.
«Rimane sempre più bella di te» rincarò Peredonov. «Mi sa che mollo tutto e sposo lei».
«Tu azzardati soltanto», cominciò a urlare Varvara, rossa e tremante per la rabbia, «e le brucio gli occhi con l'acido!».
«Ho voglia di sputarti in faccia», disse tranquillamente Peredonov.
«Non ne sei capace!», gridò Varvara.
«E invece sì».
Si alzò in punta di piedi e, con un'espressione impassibile e ottusa, le sputò in faccia.
«Porco», commentò Varvara piuttosto calma, come se lo sputo l'avesse rinfrescata.
Questa dicotomia tra razionalità e sentimenti ci mostra ciò che credo fosse il fine ultimo dell'autore: mostrarci il demone che, piano piano, riesce a farsi spazio nell'animo delle persone, persino in noi, e corrompendole piano ma inesorabilmente tanto da renderle persino peggio dello stesso demonio, colpevole ma, perlomeno, consapevole di esserlo. Un messaggio che arriva al lettore perché proprio lui stesso si ritrova ben meno indignato di quello che dovrebbe essere e sarebbe davanti a simili azioni in altre occasioni.
Al di là di questo, sono annoverate tra le nefandezze anche cose che, ad oggi, stiamo invece cercando di normalizzare, non ve le esplicito per non anticiparvi altro ma le cito perché penso che, per un romanzo pubblicato nel 1905, il fatto che siano raccontate, e per giunta senza biasimo, rende quest'opera decisamente più attuale di quanto si possa pensare.
All'interno del testo sono citati tantissime opere ed autori (molti dei quali proibiti all'epoca), sebbene il nostro protagonista non ne abbia, fieramente, letto nemmeno uno.
E anche quei libri di certo non li leggeva, ma li teneva soltanto in mostra. Difficile ricordare l'ultima volta che aveva letto un libro – diceva di non averne il tempo; non si abbonava nemmeno ai giornali e le notizie le veniva a sapere attraverso le conversazioni. D'altra parte, non c'era nulla che dovesse apprendere perché nulla al mondo lo interessava.
In conclusione, è un'opera che ho apprezzato molto e che, soprattutto, ho trovato al contempo simile (nell'ironia) e diversa (mancanza totale di volontà di riscatto) ai grandi romanzi russi dell'epoca, e la consiglio a tutti, segnalandovi però che, pur essendo un classico, non mancano immagini forti seppur mitigate nelle parole, che vi ho riportato anche nelle citazioni.