TRAMA IN BREVE

Haruki Murakami in questo memoir svela il suo rapporto con la corsa ma non solo: ci racconta il parallelismo tra questa attività e la sua scrittura e spiega il suo modo di vivere e di vedere le cose. 

INCIPIT

Oggi è il 5 agosto 2005, un venerdì. Isola di Kauai nell'arcipelago delle Hawaii, costa nord. Il tempo è sempre così bello che viene quasi a noia. Al momento non c'è una nuvola in cielo, non c'è nemmeno un'allusione all'idea di nuvola. Sono arrivato qui alla fine di luglio e come al solito ho preso in affitto un appartamento. Ogni mattino, quando fa ancora fresco, mi metto alla scrivania a lavorare. Adesso infatti so scrivendo queste righe riguardo all'atto di correre. Così, come mi vengono.

RECENSIONE

Mi procurai un cronometro, e lessi un libro per principianti in questo sport. È così che si diventa corridori.

L'arte di correre, è un memoir di Murakami, in cui l'autore giapponese riflette sul suo rapporto con la corsa.

Una presentazione di questo tipo, anche se corretta, deve però essere necessariamente approfondita in quanto in questo testo il lettore potrà trovare molto ma molto di più.

Prima di tutto è fondamentale dire che la tematica della corsa viene presentata in modo parallelo con quella della scrittura: non solo lo scrittore ha iniziato entrambe le attività più o meno nello stesso periodo e proprio per motivazioni che le correlano (il nuovo lavoro, sedentario per eccellenza, l'ha indotto a praticare uno sport che lo aiutasse a non ingrassare e a mantenere il suo corpo sano ed in forma), ma Murakami spiega anche di approcciarsi a loro allo stesso modo. Quanto leggiamo, perciò, ci insegna molto anche sullo scrittore e, di conseguenza, sull'uomo, che si sta rivolgendo a noi.

Sarà sorprendente, per il lettore occidentale, poter scoprire come questo grande uomo, famoso e appartenente ad una cultura ancora molto lontana dalla nostra, possa avere punti in comune con lui. Nel gruppo di lettura, formato da persona molto diverse tra loro, è risultato come quasi ognuno di noi in uno o più passaggi si sia riconosciuto in ciò che Murakami scrive in questo testo: a riprova che barriere quali quelle culturali, di genere e di età (dato che le lettrici del gruppo di lettura erano in prevalenza giovani donne) non sono poi così forti quando si va a scavare nella vera essenza della persona.

Per il lettore di vecchia data dell'autore giapponese ci sarà, quindi, la possibilità di conoscere molto di più della sua personalità e delle sue opinioni sulla vita, oltre che scoprire quello che ogni "fan" potrebbe desiderare sapere: come e perché ha iniziato a scrivere (ed entrambe le risposte sono talmente peculiari da non poter lasciare insoddisfatti), a quale età ha capito di voler fare lo scrittore e anche l'inizio della sua carriera, i passi fatti, le scelte difficili e i riconoscimenti raggiunti.
Per chi ha letto le sue prime opere, ritrovarle nel testo e riconoscerle come gradini che l'hanno portato alla fama, sarà coinvolgente, per chi ancora non le ha lette nascerà la voglia di recuperarle per poter riconoscere al loro interno lo stato d'animo che saprà, dopo aver letto questo libro, appartenere allo scrittore in quel momento.

Inoltre, sarà piuttosto semplice riconoscere in ciò che dice l'essenza dei suoi personaggi (soprattutto i suoi protagonisti) e questo aiuterà a renderli ancora più concreti e verosimili ai nostri occhi, mostrandoci ogni piccolo pezzo di "Murakami" insito al loro interno e desumibile da quanto spiegato in L'arte di correre.

Sempre a livello letterario, sono tanti gli spunti presi in considerazione. Murakami nomina tantissimi scrittori e alcune specifiche opere (Dostoevskij, Hemingway, Fitzgerald, Dazai Ozamus (Corri, Melos), Shakespeare, Balzac, Dickens, sono alcuni), sia per citarne delle frasi, sia parlando del loro valore.
Non solo con questo testo scoprirete quali sono i suoi requisiti necessari per poter essere un bravo scrittore, ma anche alcune opinioni, anche se fuggevoli, su alcuni di questi grandi nomi della Letteratura.

Tornando alla corsa, all'interno del libro ci vengono raccontati gli allenamenti e le gare, delle quali, a metà libro, troverete anche tante fotografie che ritraggono l'autore mentre corre o all'arrivo dei traguardi.

La corsa è rappresentata sia come qualcosa di pratico ed utile, sia come una passione, talvolta anche come una terapia emotiva che lo aiuta a superare momenti di nervosismo e fastidio. Non solo non sfuggirà l'amore riversato in questo sport dall'autore, ma inevitabilmente ci condizionerà.

Altresì, è necessario specificare che questo libro non è in alcun modo un testo che potrà indurre a praticare la corsa a chi già, per qualche motivo, non se ne sente attratto. Il fine dello scrittore non è quello di convincere il lettore a praticare a sua volta questo sport e più volte ripeterà che ciò che si adatta a lui e alle sue peculiarità fisiche, potrà invece non adattarsi affatto a quelle di altre persone.

Ciò che se ne deriva, infatti, è una grande motivazione a fare qualunque cosa noi desideriamo e ci sentiamo portati a fare, che sia un'attività sportiva o che sia un'attività intellettuale (o di qualsiasi altro genere). Senza alcuna limitazione o giudizio. Ciò che evinciamo dal testo non è "se vado a correre, sarò felice" ma "se voglio essere felice devo darmi la possibilità di provare a fare quella cosa che rimando da sempre ma che vorrei tanto fare".
Ci sono alcune frasi di questo volume (molte, in realtà) che andrebbero rilette ogni giorno prima di mettersi a lavorare al proprio obiettivo, per potersi così ogni volta ricordare il perché lo si fa e, soprattutto, per averne sempre la voglia e la concentrazione necessaria.

Le verità scomode non mancano.
La corsa non viene presentata dall'uomo come qualcosa che tenderebbe a fare, naturalmente, ogni giorno; ammette lui stesso che ci sono giorni in cui vorrebbe non andare e in cui verrebbe portato a non farlo, adducendo a sé stesso qualche scusa. Anche se si ama qualcosa è umano non tendere alla perfezione e, anzi, lasciarsi andare una volta raggiunto una piccola soglia/obiettivo, da lì entra in gioco la perseveranza che, come Murakami ci ricorda, non è sufficiente per coltivare una passione ma è necessaria per portarla avanti nel tempo.
Allo stesso modo si parla di sconfitta: lo scrittore non ci dice mai che, perseverando, ognuno potrà raggiungere un qualsiasi obiettivo. Questo dipenderà da tantissimi fattori diversi, alcuni dei quali impossibili da prevedere anticipatamente. L'unica cosa che una persona può fare è allenarsi duramente, metodicamente, senza mai arrendersi e vedere solo alla fine a cosa questo lavoro lo porterà. 

Vengono raccontate anche le sconfitte personali dello scrittore (principalmente nelle maratone) e, anche in questo ambito, un altro aspetto colpisce: Murakami non si mette mai in competizione con nessuno, se non con sé stesso. Non considera mai una sconfitta l'arrivare prima o dopo qualcuno, guarda esclusivamente ai dati oggettivi della propria performance: se raggiunge ciò che si era prefisso, si considera soddisfatto indipendentemente dal risultato che noi tutti potranno vedere (il posizionamento nella maratona, ad esempio), se non lo raggiunge è con sé stesso che deve avere a che fare.
Ci svela così un trucco che forse non tutti utilizziamo: essere oggettivi e non guardare agli altri, rimanere fermi su sé stessi e sui propri risultati, sulle proprie limitazioni.

Ci sono diversi esempi pratici che ci aiuteranno a comprendere la differenza tra oggettività e soggettività e ci mostreranno come questo metodo sia lo stesso che lo scrittore applica anche a tutti gli altri settori della sua vita, in primis la scrittura.

Il linguaggio utilizzato è semplice, ben scritto (lui sostiene sia prodotto di getto, ma questo a parte per la dinamicità del testo non si ravvisa, in senso negativo) Il libro non annoia mai, nemmeno nei punti meno intriganti per l'interesse del lettore (ad esempio a me importava pochissimo dei risultati delle maratone e dei tempi, eppure ho letto volentieri anche quelle parti). A prescindere dalla tematica affrontata in quel momento, difficilmente si dilunga in modo evidente, pur riuscendo ad approfondire ogni discorso.

Per chi legge la narrativa di Murakami, non sarà, inoltre, sorprendente scoprire come, in mezzo a tutto questo, l'autore riesca anche a descrivere l'ambientazione del luogo da cui scrive (un esempio lo vedete nell'incipit) o dei luoghi in cui lavora (insegna o interviene a eventi) o anche dove svolge le gare.

Per quanto il libro sia quanto di più concreto possibile (anche quando parla della sua mentalità lo fa con esempi pratici) e invece i suoi romanzi siano ricchi di metafore e da interpretare, è piuttosto immediato il riconoscimento della stessa paternità delle due diverse tipologie di opere. Difficilmente chi ama la sua narrativa potrà non apprezzare questo testo.

In conclusione, L'arte di correre di Murakami è un testo che può interessare particolarmente a chi ama la corsa o vuole informarsi al riguardo (non mancano anche gli esempi pratici e le specifiche di allenamento dello scrittore), ma che potrà aiutare qualsiasi persona, anche la più refrattaria allo sport, a credere maggiormente nei propri obiettivi.
Leggere questo volume fa venire un'immediata voglia di provarci, di non lasciarsi andare, di lavorare su ciò che rimandiamo da anni perché "tanto è inutile" o perché "non ho tempo".

È un libro piacevole da leggere e fortemente motivante che, personalmente, farei leggere a tutte le persone a cui voglio bene per spronarle a seguire (e forse anche a riconoscere) la propria strada.

Consigliatissimo, da leggere e rileggere!

CITAZIONI

Ernest Hemingway ha detto qualcosa di simile. L'importante è la continuità – non spezzare il ritmo. Nel caso di un'opera molto lunga è fondamentale. Se si riesce a mantenere un ritmo costante, qualche risultato bene o male lo si ottiene.

Sono quasi ventitré anni, da quando ho iniziato nell'autunno del 1982, che mi alleno con regolarità. Faccio jogging quasi ogni giorno, ogni anno partecipo almeno una volta a una maratona completa (finora ne ho contate ventitré) e a un gran numero di gare più brevi in ogni parte del mondo. Coprire a passo di corsa lunghe distanze è semplicemente consono al mio carattere, mi fa sentire felice. Fra tutte le forme di esercizio fisico cui mi sono dedicato, correre è probabilmente la più piacevole, quella più ricca di significato per me. E tenermi in allenamento per più di vent'anni, senza mai smettere, penso che abbia contribuito a formare e irrobustire sia il mio corpo che il mio spirito.

La stessa cosa si può dire che accada nella professione di scrittore. In questo lavoro – per lo meno per quanto mi riguarda – non c'è vittoria o sconfitta. Può darsi che il numero di copie vendute, i premi letterari, le recensioni dei critici costituiscano dei criteri in base ai quali giudicare il risultato, ma non sono l'essenziale. Ciò che conta, più di ogni altra cosa, è che l'opera compiuta corrisponda ai criteri che lo scrittore stesso ha stabilito, e in questa valutazione non gli sarà facile barare. Davanti agli altri bene o male si possono trovare dei pretesti, ma ingannare se stessi è impresa ben più ardua. In questo senso scrivere un libro è un po' come correre una maratona, la motivazione in sostanza è della stessa natura: uno stimolo interiore silenzioso e preciso, che non cerca conferma in un giudizio esterno.

Anzi, per maggiore precisione, diciamo che stare solo non mi dispiace. Correre ogni giorno per un'ora o due senza parlare con nessuno, trascorrere quattro o cinque ore seduto a scrivere in silenzio: non lo trovo né stancante né noioso. È un tratto del mio carattere che ho mantenuto con coerenza fin da quando ero giovane. Più che partecipare a un'attività con altre persone, ho sempre preferito leggere in silenzio un libro, o concentrarmi sull'ascolto di un disco.

Quando corro, semplicemente corro. In teoria nel vuoto. O viceversa, è anche possibile che io corra per raggiungere il vuoto. In quella sospensione spazio-temporale, pensieri ogni volta diversi si insinuano naturalmente nel mio cervello. È naturale, perché nell'animo umano non può esistere il vuoto assoluto. Il nostro spirito non è abbastanza forte per concepire il nulla, e inoltre non è coerente. Insomma, i pensieri che si avvicendano nella mia mente sono semplicemente derivati del nulla, tutto lì. Si formano ruotando intorno al nulla.

Quando ricevo una critica immotivata (a mio parere, s'intende), o quando vengo biasimato da qualcuno di cui davo per scontata l'approvazione, correndo copro sempre una distanza un po' più lunga del solito. Così faccio consumare al mio corpo la parte di delusione. È un modo per riconoscere, nel limite delle mie capacità, la mia debolezza di essere umano.

Stavo per compiere trent'anni. Ero arrivato a un'età in cui non potevo più definirmi «un giovane». Così ho concepito il proposito di scrivere dei romanzi – una cosa che non mi era mai passata per la mente prima di allora.

Perché quando faccio qualcosa, qualunque essa sia, se non mi ci dedico anima e corpo non concludo nulla, sono fatto così. Non sono il tipo da scegliere una soluzione razionale come affidare a qualcuno la gestione del locale e andarmene a scrivere da un'altra parte. Quando ho un progetto, mi ci butto a capofitto e, se va male, accetto di darmi per vinto. Se invece dovessi fallire perché ho fatto le cose a metà, probabilmente me ne pentirei finché campo.

Ciò che penso, semplicemente, è che, una volta usciti dalla prima giovinezza, nella vita è necessario stabilire delle priorità. Una sorta di graduatoria che permetta di distribuire al meglio tempo ed energia. Se entro una certa età non si definisce in maniera chiara questa scala dei valori, l'esistenza finisce con perdere il suo punto focale, e di conseguenza anche le sfumature.

Fondamentalmente, la vita non è una cosa equa. Su questo non ci sono dubbi. Però credo che ci sia la possibilità di cercare una qualche «giustizia» anche in una situazione iniqua. Può darsi che occorra tempo e fatica. E anche che tempo e fatica alla fine si rivelino inutili. Decidere se valga la pena già solo cercarla, questa «giustizia», ovviamente è a discrezione di ogni individuo.

Gli esseri umani trovano naturale perseverare nelle cose che amano, e in quelle che non amano no, sono fatti così. In questo la volontà avrà certo un suo ruolo, ma nessuno può continuare per molto tempo a fare qualcosa per cui non è portato, nemmeno se possiede una volontà di ferro, nemmeno se per carattere non tollera sconfitte. E anche ammettendo che ci riesca, non ne trarrà alcun beneficio.

L'ho già detto all'inizio, io non sono uno che rifiuta di perdere. In una certa misura, penso che la sconfitta non si possa evitare. L'essere umano, qualunque essere umano, non può continuare a vincere in eterno. Nell'autostrada della vita, non si può sempre stare sulla corsia di sorpasso. Questo lo accetto. Ma ripetere lo stesso sbaglio, no. Da un insuccesso voglio imparare qualcosa che mi torni utile la volta successiva. Per lo meno finché m è concessa la facoltà di farlo.

Maratona è un paesino dove la gente è gentile. Un borgo tranquillo, pacifico. Difficile immaginare che migliaia di anni fa l'esercito greco, alla fine di una feroce battaglia, sconfisse su questa spiaggia l'armata dell'invasore persiano.

Una delle regole fondamentali di un allenamento intensivo è che si può anche diminuire la quantità complessiva di esercizio, ma non bisogna mai riposare per due giorni di seguito.

QUARTA DI COPERTINA

Quando, nel 1981, Murakami chiuse Peter Cat, il jazz bar che aveva gestito nei precedenti sette anni, per dedicarsi solo alla scrittura, ritenne che fosse anche giunto il momento di cambiare radicalmente abitudini di vita: decise di smettere di fumare sessanta sigarette al giorno, e - poiché scrivere è notoriamente un lavoro sedentario e Murakami per natura tenderebbe verso una certa pinguedine - di mettersi a correre. Da allora, di solito scrive quattro ore al mattino, poi il pomeriggio corre dieci o più chilometri. Qualche anno più tardi si recò in Grecia dove per la prima volta percorse tutto il tragitto classico della maratona. L'esperienza lo convinse: da allora ha partecipato a ventiquattro di queste competizioni, ma anche a una ultramaratona e a diverse gare di triathlon. Scritto nell'arco di tre anni, "L'arte di correre" è una riflessione sulle motivazioni che ancora oggi spingono l'ormai sessantenne Murakami a sottoporsi a questa intensa attività fisica che assume il valore di una vera e propria strategia di sopravvivenza. Perché scrivere - sostiene Murakami - è un'attività pericolosa, una perenne lotta con i lati oscuri del proprio essere ed è indispensabile eliminare le tossine che, nell'atto creativo, si determinano nell'animo di uno scrittore. Al tempo stesso, questo insolito libro propone però anche illuminanti squarci sulla corsa in sé, sulle fatiche che essa comporta, sui momenti di debolezza e di esaltazione che chiunque abbia partecipato a una maratona avrà indubbiamente provato.

GRUPPO DI LETTURA

Abbiamo letto questo libro in un #GDLSettimanale (se vi interessano i miei Gruppi Di Lettura li trovate in questo Canale Telegram), eccovi le nostre impressioni complessive!

  • Il tema della corsa, in generale, quanto vi interessa?
    Moltissimo (25%)
    Poco (25%)

  • Il tema della corsa, per come è raccontato qui, quanto vi ha interessato?
    Tanto (42%)
    Tantissimo (33%)
    Abbastanza (25%)

  • Dopo aver letto questo libro, la voglia di leggere altro di Murakami è:
    Cresciuta (75%)
    Sempre uguale, tanta (25%)

  • Voto al libro?
    8 - 8.5 (58%)
    9 - 9.5 (33%)
    7 - 7.5 (9%)

  • Come avete trovato la lettura?
    Semplice (42%)
    Semplicissima (33%)
    Fluida (25%)

  • Aggettivi che assoceresti al libro:
    Motivante (100%)
    Interessante (75%)
    Vicino al mio modo di essere (75%)
    Sorprendente (50%)
PRO / INDIFFERENTE / CONTRO
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