TRAMA IN BREVE

In Gratitudine è un memoir di Jenny Diski. L'autrice ci racconta della sua malattia ma anche della sua vita: specialmente il rapporto con Doris e Peter Lessing.

INCIPIT

Il futuro scintillò davanti ai miei occhi in tutta la sua fatidica banalità. Un disagio, prima, così intenso da escludere tutti gli altri stati d'animo. Ma un disagio ripiegato su se stesso nello sconforto, quello che ti coglie quando qualcosa fuori dal tuo controllo ti pone su un binario prestabilito.

RECENSIONE

Ho il cancro. Ne scriverò? Come potrei farne a meno? Per un attimo ho finto di poterlo evitare, ma sapevo di doverlo fare, perché scrivere è ciò che faccio e ormai anche il cancro è ciò che faccio. E poi lo sconforto. Un cazzo di diario del cancro? Un altro?

Ancora una volta mi trovo costretta a dichiarare la mia ignoranza (tantissimi libri validi da leggere e così poco tempo per farlo!) e ammetto con voi lettori di aver scoperto l'esistenza di Jenny Diski solamente con l'uscita di questo nuovo libro di NN Editore. Mi sono, perciò, approcciata a questa lettura con curiosità, ma non mi aspettavo che mi travolgesse in questo modo. Colpa mia, anche in questo caso, perché dopo sei mesi di letture NN, dovrei aver imparato ormai che questo editore sforna soltanto libri che mi sconvolgono.

In Gratitudine è un memoir. Un libro che riporta racconti autobiografici, impressioni, ricordi e riflessioni dell'autrice Jenny Diski, scritti poco prima della sua morte, con la consapevolezza del ruolo di questo libro nella sua vita.
L'autrice lo chiama il suo diario del cancro, ma al suo interno non troviamo solamente riferimenti alla malattia e al suo modo di affrontarla; numerose pagine, almeno la metà, sono dedicate alla vita dell'autrice e al suo rapporto con Doris Lessing.
L'autrice premio Nobel per la Letteratura nel 2007 ha, infatti, accolto la giovane Jenny nella sua casa, dandole quella che noi potremmo considerare una seconda possibilità di vita. L'argomento del libro, perciò, non è legato esclusivamente alla malattia ma, in generale, alla vita di Jenny Diski, autrice ma prima di tutto donna ed essere umano.

Il tema della narrazione lascia sicuramente immaginare di stare per leggere qualcosa di lugubre, triste, commovente. In realtà l'autrice stupisce enormemente perché riesce a toccare temi importanti ed intrinsecamente difficili con un'ironia incredibile. L'intelligenza di questa donna traspare in ogni sua riflessione, l'arguzia dei suoi giochi di parole colpisce ad ogni pagina.

Probabilmente non riuscirei a tenere il muso fino alla morte, io che sono una delle più grandi musone sulla faccia della terra. Mi verrebbe fame.

Sin dall'incipit comprendiamo il contenuto del romanzo: riflessioni importanti e profonde raccontate in modo semplice, diretto e sincero. Entriamo dentro la narrazione in un battibaleno, prendiamo familiarità con l'autrice come se la conoscessimo da anni e, aspetto di cui forse nemmeno lei si rendeva conto, Jenny Diski si apre a noi totalmente, la sua vera anima riesce a farsi sentire in ogni momento, anche quando pensa di non starci dicendo tutta la verità.

Cito queste due fantasie per sottolineare che non sto cercando di scrivere nulla di simile alla biografia di Doris o Peter Lessing, tantomeno la mia: sto scrivendo un memoir, una forma letteraria che nella mia testa gioca a nascondino con la verità.

Lo stile dell'autrice posso anche non descrivervelo perché vi basterà leggere anche solo una citazione, riportata qui o nella sezione apposita, per capire che scrive benissimo. Inoltre, il traduttore è il famoso Fabio Cremonesi che ormai cito in continuazione, cioè colui che ha vinto il premio di La Lettura come miglior traduttore del 2017 per Le nostre Anime di notte di Kent Haruf (Se vi interessa, cliccate QUI per acquistarlo su Amazon) e che, sicuramente, arricchisce ulteriormente una scrittura scorrevole, leggera e profonda allo stesso tempo. Come riuscire ad essere poetici e pragmatici allo stesso tempo? Eccovi la risposta.

La mare dei folli su un mare vuoto. Un'educata attesa per il puro gusto di attendere. L'attesa del proprio turno nell'anticamera della vita nell'aldilà, con gli occhi fissi sui numeri del pannello elettronico.

L'utilità di questa lettura è, per me, fuori dubbio. All'interno di questo libro troviamo una vita e questo non può che essere considerato fondamentale. Non solo riusciamo a metterci nei panni di una persona che sta affrontando una malattia che spaventerebbe chiunque, scopriamo anche com'è vissuta e in che modo è arrivata ad essere colei che stiamo conoscendo. Inoltre, ho apprezzato particolarmente tutti gli spunti relativi alla scrittura e al modo di Diski di pensare ad essa; sono stata d'accordo con lei in ogni momento.

Nella mia esperienza, scrivere non diventa più semplice a forza di farlo. Ma la fiducia cresce, non molto, un briciolo, come una perla, come un tumore. Si impara che c'è un processo e che non è davvero importante ciò che si scrive, ma come lo si scrive, quello sì che è cruciale, e ciò che scrivo io e scrivi tu non sarà mai come quello che scrive lui e scrive lei, a meno che, come diceva Truman Capote, ciò che stai scrivendo non sia scrivere, ma battere a macchina.

Ciò che mi ha stupita maggiormente è stata la mia percezione dell'atmosfera. Il cancro è un argomento che ha su di me un forte ascendente ed ero terrorizzata all'idea di leggere In Gratitudine e soffrire enormemente. Invece questo libro mi ha aiutata; è stato bello poter leggere di questa malattia riuscendo ad uscire da quelli che sono i miei ricordi ed entrare in empatia con la protagonista, accorgendomi che quella è la sua storia particolare e che solamente lei avrebbe potuto scriverla.

Il terrore naturalmente non è occasionale e la serenità non lo scalfisce. Dove sto andando? Nessuno lo sa. Posso venire con te? No, no e no. C'è una sorta di eccitazione. Questa cosa che non ho mai fatto, che ho già fatto ma in precedenza, in una forma altra, totale differenza, inesistenza, assenza di facoltà cognitive. Che tutti hanno fatto, faranno, mondo senza fine. La fine, e il mondo che continua, si occupa delle sue faccende quotidiane. Un mondo senza di me.

Il messaggio di In Gratitudine è evidente sin dal titolo. Gratitudine e Ingratitudine sono i perni su cui si è basata la storia di Jenny Diski e non ci sarebbe potuto essere titolo migliore di questo per un libro in cui lei ci racconta la propria vita. 
Prima di leggerlo non conoscevo la storia personale di Doris Lessing, non ho ancora nemmeno letto una sua opera, e non credo avrei mai potuto capirla nello stesso modo, se l'avessi in precedenza conosciuta in maniera più asettica ed oggettiva. 
Doris da un certo punto di vista rappresenterà per sempre per Jenny la salvatrice; colei che le ha dato la possibilità di vivere nell'ambiente giusto per diventare una scrittrice, colei che l'ha tolta ad un futuro che forse si sarebbe rivelato fin troppo corto, se Diski fosse stata lasciata a sé stessa. Tutto questo per l'autrice del libro rappresenta la gratitudine: è consapevole di doverle molto perché, nella pratica, ha influito positivamente nella sua vita.
Noi esseri viventi, però, non siamo fatti di mera praticità. Abbiamo sentimenti, emozioni, necessità che esulano totalmente dai problemi reali di tutti i giorni. E da questi nasce l'ingratitudine. Perché Jenny non saprà mai come sarebbe vissuta se Doris non l'avesse aiutata e di certo conosce solamente ciò che effettivamente le è successo: ha vissuto quattro anni di vita con una persona a cui doveva tutto e, che al tempo stesso, rischiava di toglierle tutto il resto. 
Non aggiungo di più perché è giusto che scopriate voi tutti i particolari della vicenda e, soprattutto, tiriate le vostre personali conclusioni, perché penso che davanti ad una storia così non vi sia un giusto o uno sbagliato oggettivo. Ognuno di voi metterà la sua personale esperienza a paragone con quella dell'autrice e, a seconda di essa, la giudicherà in maniera differente.

Scusatemi, milioni di persone. Ho mandato tutto a puttane un'altra volta. Gratitudine. Non abbastanza. Fallimento.

Un'altra particolarità è stata per me la connessione che è nata con Jenny Diski. Solitamente le protagoniste femminili, reali o meno, non godono di una mia particolare simpatia, soprattutto se così diverse da me. Probabilmente io e l'autrice, non avremmo potuto avere personalità più diverse; lei la giovane ribelle incapace di stare alle regole, io la ragazza precisina che non trasgredisce mai.
Eppure, ci sono stati momenti in cui mi sembrava parlasse di me e della mia vita. In alcuni pezzi mi spiegava quello che io stessa ho provato. Altre volte raccontava di qualcosa che non ho mai vissuto ma la capivo come se fosse capitata a me. Io non so dire se questo succederà anche a voi, ma posso affermare che solitamente a me questo non accade mai e che se è successo è sicuramente perché lei si lascia vedere per quella che è. Non importa, perciò, se vi ci ritroverete o meno, se capirete di più Doris che lei, se non apprezzerete il suo umorismo nero o le sue preoccupazioni fuori dal comune, vista la sua situazione, ciò che è fondamentale è che voi la vediate, la ascoltiate e la sentiate e, allora, la lettura vi prenderà e nn vi pentirete mai di averla iniziata.

Può semplicemente darsi che io non abbia talento come attrice. Questo potrebbe spiegare la paura. Forse, una volta assegnatomi quel ruolo inevitabile, avevo il panico da palcoscenico. È qualcosa di profondo. Posso esibirmi a cena a casa d'altri in chiacchiere inarrestabili, pronta a discutere e a inserirmi nella conversazione con una barzelletta o un'arguzia. Poi torno a casa rivestita da uno strato di disgusto per me stessa, come se mi fossi rotolata nella merda d'asino, e per un giorno o due resto a letto con le coperte tirate fin sopra la testa per la vergogna.

Ho cercato dei difetti: per la completezza della recensione sono necessari. Di veri non ne ho trovati. Accontentatevi perciò di sapere che l'unico dettaglio che non ho considerato perfetto è relativo alla struttura, perché i macroargomenti avrebbero potuto essere trattati in maniera più schematica.
Si capisce perfettamente tutto e non c'è difficoltà a seguire gli spostamenti di data o ambientazione, però non si tratta di uno scritto lineare come si potrebbe preferire in un libro del genere. Si tratta d'altronde di un memoir, non di un'autobiografia, perciò quanto appena detto è piuttosto naturale e non rappresenta un errore ma una mia banale preferenza.
Inoltre, quanto appena detto potrebbe riguardare solamente questa particolare versione perché da quanto ho capito il libro non riporta gli scritti dell'autrice in ordine di pubblicazione (ciò che trovate scritto in In Gratitudine è stato, in realtà, pubblicato in una rubrica, a cadenza mensile) e quindi non mi è possibile giudicare se si tratti di un miglioramento o un peggioramento rispetto all'opera originaria.

Capita spesso di leggere che bisognerebbe scrivere un libro solamente se si ha qualcosa da dire. In In Gratitudine Jenny sì da a noi, è la sua vita quella che leggiamo, la sua storia, i suoi sentimenti. Grazie ad esso lei rimarrà per sempre viva, perché tutti noi lettori sapremo chi è stata e cos'ha provato. Se non è questo un buon motivo per scrivere, allora ditemi cos'altro lo è.

Consiglio questo libro a chiunque e romperò le scatole a tutti i più affezionati del blog finché non lo leggeranno. Il cancro è un argomento che vi rende tristi? Leggetelo. Vi annoia? Leggetelo. Ne avete già letti tanti al riguardo? Leggete anche questo. Non è per donne, non è per uomini, è per esseri umani, per lettori che vogliono vivere un'altra vita, sentire ciò che ha provato un altro. 
Non ve ne potrete pentire.

CITAZIONI

Mi mortificava l'idea che, prima ancora di fare un solo passo sulla strada del cancro, avevo commesso la mia prima banalità. Ero già una paziente oncologica prevedibile.

Davvero, non c'è niente che voglia fare prima di morire, tranne forse starmene sdraiata a godermi la morfina, sognando a occhi a parti il mio cammino verso l'oblio.

Ci provo, ma non riesco a pensare a un singolo aspetto dell'avere il cancro, dall'inizio alla fine, che non sia un atto in una pantomima nella quale la mia partecipazione è garantita, per quanto io creda di scegliere se recitare o no in ogni scena. Mi è stato dato questo ruolo. (Ecco, vedi? Vittimismo immediato.) Non ho altra scelta, posso solo esibirmi ed essere mortalmente a disagio. Ti auguro una lunga vita.

Di cos'altro dovrei scrivere se non di quello che so e non so del mondo? Può darsi che nei miei romanzi io non inventi nulla, o che nei saggi io non dica la verità ma, che si tratti di cronaca o di fantasia, al centro della mia volontà di rendere pubbliche le cose che descrivo ci sono sempre stata io. Mento come tutti gli scrittori, ma per farlo uso le mie verità così come le conosco.

Non posso usare gli occhi per vedere qualcosa, senza che gli occhi stessi sappiano che ciò che stanno vedendo è condizionato da ciò che ho imparato e sono stata.

Fui quasi colta di sorpresa al pensiero che per tutto il tempo in cui avevo cercato di capire come riferirmi a Doris, in realtà devo avuto una madre vera che avrei potuto chiamare "mia". Pensandoci, mi parve irrilevante.

Nei sessantatré giorni di chemio, persino quando non ero attaccata alla flebo, la mia vita era perlopiù fatta da valutazioni altrettanto interminabili su banali faccende domestiche personali - alzarsi, lavarsi, vestirsi, lavorare, leggere, preparare una tazza di tè, riempire una borda dell'acqua calda, guardare la tv - e non facevo che chiedermi se potevo fottermene di fare tutte, poche o nessuna di quelle cose, oppure dovevo o potevo fare lo sforzo, resistendo alla tentazione di fottermene, ignorando lo stato di ogni singola cellula del mio corpo. A eccezione della borsa dell'acqua calda, che desideravo irresistibilmente, la risposta era sempre no.

La terapia non sembra molto diversa rispetto a qualche decennio fa. Un orribile veleno che uccide le cellule tumorali più in fretta di quanto uccida le altre cellule. Così pensano. E poi vanno a vedere se ha fatto qualcosa di utile. Forse sì, forse no. Per sapere cosa succederà, tutti aspettano di vedere cosa succederà. È il cancro che comanda e guida tutti quanti in una danza gioiosa.

Spesso i veri scrittori (a differenza di quelli a cui interessa solo compiacere le folle) sono a disagio se non spingono la propria scrittura ai limiti o anche oltre, e si limitano a sorvegliare la propria prosa per tenere alla larga i censori, in particolare quello che hanno dentro di sé.

Non ho attrezzatura da gettarmi addosso mentre mi tuffo ad angelo. Mi trovo là fuori da sola, senza nessuno che manipoli la verità per me. Trasportata dal vento, cullata dalla brezza, però completamente sola.

QUARTA DI COPERTINA

Nell’agosto del 2014 Jenny Diski riceve la diagnosi definitiva: ha un cancro inoperabile e le rimangono pochi anni di vita. Non sa come reagire, ma sa di non avere altra scelta che scriverne. E decide di raccontare per la prima volta i suoi anni con Doris Lessing, la romanziera premio Nobel che l’ha accolta in casa da adolescente. Jenny entra nella famiglia di Doris da estranea, portando con sé tutte le paure e la rabbia, le domande e l’inquietudine di una quindicenne uscita da un’infanzia tormentata, vissuta tra i genitori e gli ospedali psichiatrici. Ma la favola della trovatella e della nobile salvatrice non calza alle esistenze di Jenny e Doris, che rimangono sempre in bilico tra le parole gratitudine e ingratitudine, fino alla fine. Come in uno specchio, anche il rapporto con la malattia ruota attorno a queste due parole, perché pone la scrittrice sempre, fino alla fine, davanti alle stesse identiche paure, incertezze e speranze.Sincera fino allo spasimo, Jenny Diski guarda il mostro negli occhi e, con una furia e un’ironia prive di lamenti e recriminazioni, ci consegna una dichiarazione di amore per la vita, il potere delle parole e l’orgoglio dell’esperienza.

PRO / INDIFFERENTE / CONTRO
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