La poesia e la grandezza delle persone smozzicate è di vivere come se non lo fossero.
C'era una notte a Berlino di Alessandro Gnani è stato il mio primo libro edito Leucotea.
Questo editore si contraddistingue, perlomeno per la collana "project", per le copertine singolari: l'incipit del testo è stampato sulla copertina che, a parte esso, ha solamente nome dell'autore e titolo.
Sulla costa del libro troverete la continuazione del disegno ma nessuna scritta. I colori dei diversi volumi sono differenti, questo di Gnani è di un bel rosso.
Si tratta anche del mio primo libro dell'autore, cosa che non mi permette perciò di comprendere quali degli aspetti da me notati derivino dalle esigenze del libro specifico e cosa, invece, sia tipico dello scrittore.
Come sempre quando si tratta di una nuova penna, il primo aspetto da valutare è lo stile.
Durante la lettura non c'è mai alcun dubbio sulla consapevolezza narrativa dell'autore, che ritengo abbia fatto una precisa scelta stilistica (e per questo mi chiedevo, qualche riga sopra, se fosse tipica o legata al romanzo): lo stile è minimale, utilizza costrutti desueti e si avvale spesso di parole non di uso comune, quasi sempre ricercate, altre volte specifiche.
Il minimalismo lo si evince dall'elisione di tutto ciò che è superfluo all'interno di una frase, i verbi ausiliari sono inseriti solamente di rado, anche se ovviamente sono sottintesi. Talvolta il verbo manca del tutto.
Katrin e Marita no: davvero pure.
Il costrutto particolare fa sì che le frasi siano rigirate e che lascino spesso alla fine, o talvolta al centro, la parte importante. In questo modo sia la musicalità di ciò che viene detto, sia il suo significato, cambiano, concentrando l'occhio del lettore su qualcosa di differente da ciò che avrebbe recepito normalmente.
L'utilizzo di termini desueti o ricercati si sposa bene con le altre scelte: la ricercatezza del testo è sempre palese, il narratore si nota sempre sebbene non ci parli mai esplicitamente e sembri non volersi manifestare in alcun modo.
Nel testo sono presenti alcuni refusi, ma sono pochi, non gravi e non inficiano affatto la piacevolezza del testo.
La struttura è interessante perché ha due punti di vista completamente differenti.
Il punto di vista più importante è sicuramente quello di Sally, la protagonista, che viene raccontato in terza persona da un narratore non meglio esplicitato.
Quello secondario, ma comunque rilevante ai fini della trama, è di un ragazzo che parla in prima persona e che ci racconta del suo lavoro di giornalista di cronaca nera e della propria madre, magistrato che si occupa dei casi di violenza sessuale (aspetto che apre alla tematica principale del testo, che invia un forte messaggio esplicito contro la violenza sessuale e a salvaguardia delle donne).
Non è pensabile che un atteggiamento della donna, un qualsiasi ammiccamento, o addirittura il su modo di vestirsi, siano considerati come cause giustificatrici di violenza. Se io decido di baciare una persona, quella non può sentirsi autorizzata a fare sesso. Non è pensabile nemmeno che un litigio, per quanto aspro, sia un fatto di provocazione. Dirò di più. Non è ammissibile nemmeno che insulti ed ingiurie della donna costituiscano pretesto di violenza sessuale.
Mentre l'ambientazione geografica è sempre chiara (Berlino nei capitoli del primo tipo e Torino in quelli in prima persona), quella temporale non è mai, appositamente, specificata.
La narrazione principale (quella di Sally) copre l'arco di una notte.
La trama racconta, sin dall'incipit, come la protagonista stia scappando nella notte berlinese. La sua fuga è più psicologica che foriera di panico: la donna si sposta ma non abbiamo mai l'impressione che stia scappando, piuttosto che abbia una meta ben prefissata da raggiungere il prima possibile.
È piuttosto semplice, raccogliendo i primi indizi dateci, indovinare cosa sia successo alla ragazza, perché il libro è profondamente coerente con sé stesso e fa quadrare tutto in modo così concentrico da lasciare pochi dubbi, nonostante questo, grazie ad alcune ben studiate omissioni, sarà possibile che i lettore venga colpito da uno dei colpi di scena (rari ma ben strutturati) presenti nel testo.
Il finale chiude il cerchio perfettamente, soddisfacendo la curiosità del lettore e spiegando indirettamente anche qualcosa al riguardo delle scelte stilistiche non comuni.
La protagonista del libro, è un po' come lo stile: volutamente provocatrice, teatrale, sicura di sé. Talvolta, però, scorgiamo ciò che nasconde persino a sé stessa, soprattutto grazie alle parole del narratore, che ci svela sentimenti provati dalla ragazza che noi non riusciremmo mai ad attribuirle giudicando esclusivamente dai suoi gesti.
Talvolta persino lei stessa sembra non comprendersi; quasi come la sua fosse una continua farsa, ma talmente abituale da averle fatto dimenticare la verità sottostante.
Come le venne quella risposta è difficile spiegare. La sua persona era un mosaico andato in frantumi. Migliaia di tessere sparse ovunque
In conclusione, C'era una notte a Berlino è un libro che mi ha colpito per la sua costruzione coerente agli estremi ma che, proprio per questo, mi ha dato una sensazione di invadente artificiosità.
Lo stile, per quanto consapevole, dà una sensazione di teatralità che mi impedisce di dimenticare di stare leggendo una storia inventata, la protagonista, per quanto sia naturale solidarizzare con lei per ciò che le capita, sembra non volersi aprire al mondo, mostrandogli solamente gesti affettati e fin troppo consapevoli.
Ritengo che nessuno dei "difetti" riscontrati siano oggettivi: sono voluti e, perciò, non posso essere considerati errori, ma personalmente non mi hanno convinta.
Detto questo, trovo che il libro sia qualitativamente apprezzabile. Che l'idea sia buona, la realizzazione particolare e attenta e il messaggio inviato, spogliato delle esagerazioni, non solo sia condivisibile ma anche importante. La lettura, superato l'ostacolo iniziale del linguaggio artificioso, è piacevole ed interessante.
Per questi motivi io lo consiglio: è un romanzo centrato e che si distingue, perciò da provare!