Non devi dirmi che mi ami

Di Sherman Alexie

NN

462 pagine

9/10

Consigliato: Sì

Statunitense

Biografia/Autobiografia/Memoir

Contemporaneo

TRAMA IN BREVE

Non devi dirmi che mi ami è un memoir di Sherman Alexie in cui l'autore nativo americano racconta la propria vita e riflette su temi importanti.

DEDICA

Per Arnold, Kim, Arlene e James

INCIPIT

Nel 1972 o '73, o forse nel '74, i miei genitori organizzarono per l'ultimo dell'anno una festa  a dir poco pericolosa nella nostra casa di Wellpinit, Washington, nella riserva indiana di Spokane.

RECENSIONE

Il fatto è che io non credo nei fantasmi. Ma li vedo di continuo.

Non devi dirmi che mi ami è un memoir dell'autore statunitense (e nativo americano) Sherman Alexie uscito recentemente per NN Editore.

Il memoir comprende tutta la vita di Alexie, dalla sua infanzia nella riserva di Spokane al giorno d'oggi.

Cosa vuol dire essere un indiano Spokane senza il salmone? Per un cristiano sarebbe come se Gesù non avesse fatto rotolare via il masso della tomba e non fosse mai risorto.

Ricchissima è la varietà degli argomenti trattati:

  • La vita in riserva, che ci viene spiegata sia dal punto di vista economico (in particolare l'estrema povertà) ed emozionale (vivere tutti insieme in un luogo "chiuso" può essere motivo di un maggiore senso di appartenenza ma può anche dare adito a crudeltà e violenza senza speranza di giustizia).

    Da adulto guardo indietro alla violenza nella riserva e posso logicamente collegarla a tutte le orribili umiliazioni, sessuali e di altro tipo, commesse contro la mia tribù da generazioni di americani bianchi: preti, suore, soldati, insegnanti, missionari e funzionari di governo. Gli abusati possono diventare coloro che abusano. È un'evoluzione tragica. Ma da bambino, per quanto intelligente, non sapevo molto della storia dei nativi americani. Noi figli degli Spokane non conoscevamo nemmeno la storia della nostra tribù. Io conoscevo solo la mia storia personale. E, nella mia storia, i cattivi erano altri indiani Spokane.

  • La sua posizione politica, anche se non a lungo Alexie riflette sulla figura di Trump e sulla sua elezione.


    Nel 2016 i conservatori bianchi hanno eletto un bugiardo patologico che è con ogni probabilità l'uomo bianco più pavido, paranoico e insicuro che si sia mai candidato alla presidenza. E lo hanno eletto perché pensano di essere loro le vittime.

  • Il razzismo, sia quello esplicito che quello implicito, perché talvolta anche chi pensa di non esserlo dice qualcosa che può colpire e fare male.

    Direi, ma probabilmente sono troppo ottimista, che quasi tutti i razzisti ritengono moralmente sbagliato essere razzisti.

  • Il suo disturbo bipolare, probabile causa di molti dei suoi comportamenti, sin dall'infanzia.

    Ho alternato stati di insonnia e ipersonnia tutta la vita. Comincio a sognare non appena mi addormento, una condizione chiamata ridotta latenza REM che può essere precursore, sintomo, causa e conseguenza di depressione. Sono sempre stato perseguitato dagli incubi. Dai fantasmi, veri o immaginati. Ho sempre sentito voci, sia familiari, sia sconosciute. Mi è stato ufficialmente diagnosticato il disturbo bipolare nel 2010, ma credo che i primi sintomi si siano manifestati quando ero bambino.
  • La sua decisione di andarsene dal "proprio mondo" per entrare in quello dei "bianchi" e la conseguente scissione del proprio senso di appartenenza: troppo indiano per i bianchi, troppo bianco per gli indiani.

    ... capii che non sarei mai più stato completamente parte della riserva. Capii che sarei stato un nomade.
    Decisi di vivere.
  • Le sue difficoltà emotive, i propri limiti, la salute, i ricordi, dolorosi e felici.

    «Mi prenderò cura di te mamma» le ho detto.
    Non era una bugia, non proprio, ma alla fine non si è rivelata la verità.
  • Il suo rapporto con i lettori, con la scrittura e con la lingua inglese.

    Voglio attirare anche l'attenzione dei bianchi, e mi godo sia le reazioni positive che quelle negative. Sono l'autore di uno dei libri più criticati e banditi della storia americana, e questo mi rende pazzo di gioia. Ma, più di tutto, sono fiero di scatenare l'ira di altri indiani.
  • Il suo rapporto con la tradizione, il suo retaggio, le sue lacune, e tutto ciò che esse comportano.

    «Questo memoir» ho risposto «avrà un sacco di buchi. Potrei davvero impegnarmi nella ricerca e riportare i fatti nella maniera più accurata possibile. Ma i buchi mi piacciono. Mi piace come mi fanno sentire. Voglio che si sentano così anche i miei lettori. Voglio che sentano la perdita. La nostra perdita. Voglio che sappiano quanto mi sento in colpa per non sapere queste cose».
  • Il rapporto, conflittuale ed irrisolto, con la madre, morta recentemente, che può essere considerato a tutti gli effetti il perno del romanzo.

    Mia madre era una bugiarda. È venuta meno a molte promesse nei decenni successivi. Ma ha mantenuto il più grande dei voti. Ed è rimasta sobria per il resto della sua vita. 
    È per questo che sono ancora vivo. 

È tipico del memoir, in opposizione alla biografia, il fatto di non seguire un ordine cronologico stretto e di saltare di argomento in argomento a seconda dei collegamenti mentali e mnemonici dell'autore. Nel caso di Non devi dirmi che mi ami questo aspetto è portato al massimo e trasporta il lettore in un esercizio stilistico e psicologico probabilmente inedito e, comunque, impossibile da replicare nel medesimo modo.
Prima di tutto il libro presenta sia prosa che poesia, talvolta vengono alternate in capitoli diversi, in alcuni casi troviamo dei frammenti dell'una intervallati da alcune frasi dell'altra. Alexie non si dà regole se non quella di scrivere tutto ciò che gli sembra necessario.
Per lo stesso motivo vi capiterà di trovare concetti ripetuti. In alcuni casi l'autore lo fa da subito: vi saranno delle frasi ribadite senza alcuna differenza, una dopo l'altra, altre avranno lo stesso inizio ma non la stessa fine e, tantissimi argomenti, verranno ripresentati più volte in un punto diverso del libro e raccontati per molte righe esattamente nello stesso modo già letto, per poi aggiungere elementi nuovi pian piano.
All'interno di Non devi dirmi che mi ami troverete capitoli di poche righe o di alcune pagine, frammenti scritti con stile lineare e altri più poetici e/o criptici. 

E lo so, avete già letto un paio di volte questa storia nel libro. Ma devo raccontarla e raccontarla ancora.

Nonostante l'enorme complessità della struttura, che rende il libro forse meno facilmente fruibile rispetto ad un testo "comune" ma sicuramente più intrigante dal punto di vista letterario, il volume di ben 462 pagine, si riesce a leggere con agilità.
Il ritmo veloce è dovuto principalmente alla scrittura dell'autore che riesce a parlare sia di momenti divertenti sia di momenti commoventi (talvolta, intrecciandoli sapientemente tra loro, creando un effetto tragicomico come quando parla della "cacca del lutto") con uno stile snello e molto dinamico. L'autore trova il modo di parlare di sé e della sua storia (indubbiamente unica e particolarmente toccante) con ironia, non maschera mai il proprio dolore ma riesce in questo modo a farsi capire la gravità di ciò che racconta, senza dare mai l'impressione di voler suscitare compassione nel lettore. Di fatto, Alexie è felice della propria vita, che l'ha portato ad essere un autore celebre e stimato (anche se molto contestato) nel proprio Paese e, questo, riesce a bilanciare dentro di lui tutto ciò che gli è successo o avrebbe potuto succedergli. Da lui riceviamo, dunque, un messaggio positivo: non avvertiamo mai pesantezza o volontà di farci soffrire. Desidera solamente essere capito e farci percepire ciò che prova anche lui, nel bene e nel male.

«Sherman» ha detto mia moglie dopo aver letto la prima volta per intero questo memoir. «Il tuo libro è un insieme di quadrati di stoffa come le trapunte di tua madre». 
«L'ho fatto apposta» ho risposto, ma è una mezza verità.
Mi sono reso conto di aver costruito una trapunta di parole solo dopo aver letto per la prima volta per intero il mio dannato libro.
Solo allora ho notato lo schema che si ripete. Ho notato i punti e i nodi. Ho notato che le mani hanno lavorato come quelle di mia madre.
Quadrati di stoffa ad infinitum.
Mia madre, la cucitrice di trapunte, mi perseguiterà per sempre.

Probabilmente è impossibile per chiunque, anche per grandi autori, riuscire a parlare di sé stessi, specialmente relativamente ad eventi passati e ormai legati prevalentemente al ricordo personale che alla memoria vera e propria, senza mentire. 
L'approccio dell'autore davanti a questa possibilità è diretto e simpatico; ci avverte da subito della sua natura: come la madre è un cantastorie, e ci deve essere chiaro che abbellire ciò che racconta è per lui, da sempre, una necessità. 
È proprio questa ammissione (ripetuta più volte e in modi sempre originali) a darci un senso di veridicità: è inevitabile che quanto ci racconta sia la sua personale interpretazione, altrettanto ovvie sono le grandi lacune che non tenta di riempire, eppure il lettore lo sente talmente vicino da dimenticarsene. Quello che poteva essere un punto debole, dunque, viene ribaltato a punto di forza. 

«Fa ridere» ho detto. «E piangere. Quindi il mio ego è la fonte di tutto il mio inganno e autoinganno?»
«Forse» ha risposto Alex. «Dato che ti sei appena inventato questa intera conversazione su racconto e realtà che tu e io non abbiamo mai avuto, e l'hai piazzata nel primo capitolo del tuo memoir, penso di poterti definire l'inaffidabile narratore della tua vita».

Paradossalmente è lui a doverci ricordare che, nonostante queste confidenze, in questo memoir decide di non raccontarci tutto e di escluderci da ciò che non vuole condividere con noi.

Sì, ce l'ho un nome indiano. Ma non voglio condividerlo con voi. Ho imparato molto tempo fa che l'unico modo per mantenere una cosa sacra è tenerla segreta. Penserete che io riveli tutto, ma in realtà tengo per me una valanga di roba, positiva e negativa.

In conclusione, il mio parere personale. Come avrete visto il numero di citazioni che ho riportato è enorme. Questo è perché Non devi dirmi che mi ami è un memoir talmente personale ed unico nel suo genere da essere impossibile da raccontare con la completezza che, solitamente, cerco di inserire nelle mia recensioni. Solo leggendolo potrete capire veramente come la sua enorme complessità e la sua incredibile semplicità riescano a mescolarsi in un testo che arriva al lettore e lo convince, lo coinvolge, gli insegna tanto anche di sé stesso. Ho cercato di raccontarvi i suoi aspetti principali ma, solamente con la lettura potrete capire se lo apprezzerete o meno. 

Sicuramente non è un testo adatto ad ogni momento e ad ogni lettura, ma credo fortemente che sia un'opera che va letta (e riletta) e che potrà donare qualcosa a qualunque tipo di lettore, oltre ad essere qualitativamente impeccabile, sia grazie all'alto standard dell'Editore che grazie al contenuto.
Alexie è senza dubbio un grande narratore che conosce, ed ama, la propria lingua e la utilizza con incredibile consapevolezza (ottimamente resa dalla traduttrice Laura Gazzarrini) ma con la propria, ben distinguibile, cifra stilista e questo, da solo, già basterebbe a farmela consigliare. In questo volume, però, c'è molto molto di più, troverete conoscenza, profondità e tanti argomenti che, anche plasmati su di noi, possono portare a riflessioni fondamentali per la nostra vita. Lo consiglio a tutti; è una lettura atipica che ogni lettore, desideroso di crescere e di sperimentare, dovrebbe leggere.

CITAZIONI

Non sono cresciuto in una casa da sogno. Ho abitato in un'improvvisazione di legno.

Non sapevo ancora che gli eroi romantici, famosi e non, sono in genere nomadi in incognito senza una direzione.

Ci sono misteri di famiglia che non posso risolvere. Ci sono misteri di famiglia che non voglio risolvere.

«Ti inventi sempre cose del passato» ha detto. «E le cose che ti immagini sono sempre migliori di quelle successe nella realtà».

Per citare il verso di una canzone che ricordo vagamente di una band che ora non mi viene in mente: Io mi ricordo tutto.

Non ha mai tirato un pugno o premuto un grilletto o fatto nomi. Il silenzio era il suo arco e la sua faretra.

E la lapide non mi risponderà mai. Perché i morti hanno solo la voce che gli siamo noi.

La fortezza della mia camera non doveva essere impenetrabile. Era sufficiente che la sua difesa fosse più efficace delle difese degli altri – più efficace di quelle di tutti gli altri bambini indiani che erano vulnerabili esattamente come o più di me.

Pensai di farmi salvare dai bianchi.
Ma avevo più paura dei bianchi che della mia mamma indiana.

Mia madre, traumatizzata dal dolore della propria vita, non vedeva la lama affilata dei coltelli altrui.

Chi fa merdate così? Chi può essere così crudele?
Mia madre. Mia madre. Ecco chi.

Per gli indiani, la solitudine è una causa di morte naturale.

Non importa quanto crediate di sapere sulla morte, c'è sempre qualcuno più esperto.

Quando si riflette sul significato di genocidio, si pensa sempre ai cadaveri buttati nelle fosse comuni.
Ma una persona può essere stata vittimi di un genocidio – può aver reciso ogni legame con il suo passato – e continuare a vivere e diventare un vecchio la cui gabbia toracica è una casa dei fantasmi costruita intorno al cuore.
Questo lo so perché una volta mi sedetti in una stanza e ascoltai decine di uomini indiani che cercavano disperatamente di parlare più forte dei propri fantasmi che ululavano, ululavano, ululavano.

Pianse così forte che temevo si fosse rotta le costole. Credo che le si spezzò qualcosa dentro. Ma non qualcosa di anatomico. Credo che a spezzarsi fu la capacità di amare veramente il resto dei suoi figli. O di amare veramente me. O di amare veramente se stessa.

Non lo so. Non lo so. Potrei scrivere "non lo so" un milione di volte e pubblicare quello come memoir. Sarebbe ripetitivo, sperimentale, una metafora più che una storia vera e propria, ma sarebbe anche emotivamente accurato.

Ciao, mi chiamo Sherman e sono dipendente dai bianchi. O forse, dopo secoli di torture inflitte dai civilizzatori bianchi, sono dipendente da quelli che mi ricompensano per il fatto di essere indiano. Sono dipendente da quei bianchi che so che non mi tortureranno.
C'è qualcosa, qui, di simile all'amore?

QUARTA DI COPERTINA

Sherman Alexie è nato nella riserva indiana di Wellpinit, nello stato di Washington. Il padre, un indiano Coeur d'Alene, era un uomo introverso, alcolizzato, che adorava i powwow e il basket. La madre, Lillian, un'indiana Spokane, sapeva parlare la lingua nativa e cuciva leggendarie trapunte per mantenere la famiglia. Sherman cresce con questa donna bella, loquace, brillante, ma anche feroce, bugiarda e superba. E in questo memoir trasforma la storia della sua infanzia in una trapunta di parole. Racconta di una festa di Capodanno, dove bambino si difende dagli adulti ubriachi bloccando la porta con coltellini da burro; racconta della sorella Mary, che perde la vita in un incendio; racconta dei salmoni selvaggi, che il suo popolo adorava da millenni e sono ormai scomparsi dai fiumi della riserva. E racconta anche delle sue malattie, della fuga a Reardan, di violenza e povertà. In frammenti, dialoghi, poesie, prose, Sherman Alexie ripete e rinnova il passato, inganna e si autoinganna, nel tentativo di prolungare la conversazione con Lillian, la madre che non smette di apparirgli come un fantasma anche dopo la sua morte. "Non devi dirmi che mi ami" è il commiato, ironico e toccante, di un figlio che vuole liberarsi dal rancore e dalla colpa per accettare, infine, l'amore contraddittorio della madre.

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