Qualcosa che s'impara

Di Gian Luca Favetto

NN

172 pagine

8/10

Consigliato: Sì

Biografia/Autobiografia/Memoir

Saggio

TRAMA IN BREVE

Qualcosa che s'impara è il prodotto del lavoro accurato e approfondito dell'autore che ci parla della parola perdono/dono attraverso libri, film, teatro, la propria vita e i racconti degli altri.

INCIPIT

Un uomo e la sua ombra. E la sua ombra è brace. 
La vedi muoversi nel buio appena rischiarato da una luce sul fondo – un rossore con riflessi grigiastri. Ha qualcosa di lugubre e d'incanto. 

RECENSIONE

Spesso sono altrove, quando sono qui.

Qualcosa che s'impara di Gian Luca Favetto è il terzo volume della collana CroceVia di NN Editore.
Questa collana, di cui ho recensito anche il primo volume, Di ferro e d'acciaio, nasce dall'idea di creare dei testi dedicati ad interpretare ed approfondire il significato di alcune parole. Nel caso di Favetto, la parola prescelta era perdono/dono.

L'autore decide di affrontare il compito non attraverso un testo di narrativa, ma con un saggio/memoir che parlerà del perdono a tutto tondo.
All'interno di Qualcosa che s'impara, dunque, leggeremo del perdono in letteratura, della concezione che ha avuto nella vita dell'autore e nelle vite delle persone che ha conosciuto, interrogate appositamente sull'argomento.

«Perdono è una di quelle parole che fanno del bene».
Ha qualcosa di angelico, mentre lo dice. Di puro e vizioso.

Un lavoro vario e completo che mostra prima di tutto l'enorme cura e dedizione impiegate da Favetto per poter rispondere al tema, ma che, al contempo, ha anche generato da parte sua profonde riflessioni che, al di là del concetto in sé, permettono al lettore di ritrovare nello stesso testo due componenti che, spesso, vengono separate: l'utilità e l'empatia.

Se, infatti, i riferimenti letterari e cinematografici ci permetteranno di scoprire nuove opere, di conoscerle in maniera più approfondita o anche di rivederle e rileggerle grazie alla chiave di lettura fornitaci dall'autore, le storie personali contenute nel testo ci aiuteranno a contestualizzare le conoscenze acquisite e renderle reali; chiamandoci non solo a comprendere meglio la parola trattata, fine ultimo della collana, ma anche a conoscerne meglio i risvolti psicologici che le si potrebbero associare. Sarà anche inevitabile dare una propria risposta a quanto si leggerà. 

Altri argomenti fondamentali nell'opera sono la scrittura e la lettura; i lettori amano, in genere, le riflessioni riguardanti la loro attività preferita e in Qualcosa che s'impara, potranno trovare tantissime frasi sul tema.

Perché leggere, e dunque scrivere, è un modo di praticare una diaspora, un allontanamento, una fuga dei molti io e dei molti sé che ci abitano dall'Io e dal Sé che si vorrebbero unici, monolitici, intaccabili. In fondo, è un liberarsi, lasciarsi andare, abbandonarsi. È un abbandono. Un dono. Una possibile abbondanza di doni.

La storia personale dell'autore non verrà completamente trattata; come nei memoir ciò che ci verrà raccontato spazierà nel tempo (con un salto temporale di trentanni) e nello spazio (da Lione, Francia a Roma in Italia). 

Lo stile dell'autore è evocativo, personale e ricco: non il più semplice da comprendere di primo acchito ma perfetto per il testo; anche lo stile, infatti, riesce a coniugare perfettamente l'anima dotta e al contempo emozionale di ciò che leggeremo.

Favetto non solo si mostra e si racconta ma parla anche direttamente con noi in più di un'occasione, coinvolgendoci e facendosi sentire direttamente coinvolti in ciò che ci viene raccontato.

Accadde molti anni dopo Lione, praticamente ieri per te che sei su questa zattera di parole insieme con me ora, e ci lasciamo andare alla corrente.

Altra scelta stilistica che ho apprezzato è la decisione di raccontare al lettore anche dei dialoghi e delle riflessioni avute una volta saputo del tema di questo libro.

Questo ho buttato lì a Lea, quando le ho detto che avrei dovuto cominciare un libro con dentro il perdono, un libro che deve fare tutto un viaggio con il perdono a bordo e, al tempo stesso, lo deve attraversare e circumnavigare, lo deve assaggiare, digerire, deve perderlo... ma ci vogliono ancora mesi prima che inizi, ho detto. 

I titoli dei capitoli sono seguiti dai macroargomenti (specialmente quelli letterari) che verranno affrontati al loro interno. 
Questa struttura renderà possibile per il lettore consultare il testo anche successivamente, in caso volesse rileggerne alcuni passaggi, magari ritrovando i riferimenti ad opere che desidera consultare.

Il libro è ricco di spunti di riflessione, le citazioni che ho sottolineato e che avrei voluto riportarvi erano talmente tante da obbligarmi a farne un'ulteriore selezione: anche solo se riviste in un secondo momento ed estrapolate dal contesto potranno essere interessanti da rileggere.

L'incipit del libro si apre immediatamente con un riferimento letterario/teatrale: quello di Macbeth.
La mancanza di un riferimento personale/narrativo all'inizio del libro potrà confondere il lettore, che imparerà a capire completamente questa apertura una volta entrato nel testo e il finale la renderà ancora più apprezzabile.

In conclusione, Quello che s'impara è un libro che ci parla della parola perdono sia dal punto di vista letterario, sia da quello culturale, che da quello emotivo/sentimentale. È un'opera che insegna molto e che va letta con attenzione e con cura.

Lo consiglio perché è un libro da leggere e anche da rileggere. 
Io mi sono appuntata molte cose da riguardare e penso che questa lettura potrà arricchire ognuno di voi: per questo lo consiglio.

CITAZIONI

Con tutta la sua brace, questo uomo non è che una rete di pensieri e pulsioni, un soffio di parole ardite, un rovello di sentimenti contrastanti. Di volta in volta, altri gli prestano ossa pelle polmoni, perché possa respirare e agire, avere parvenza. E lui è solo quello che dice. La frase rispetta la sua doppia natura: lui è colui che dice e, al tempo stesso, lui è ciò che dice.

Lo dice con un sussurro compassionevole. Sembra che siamo noi, ciascuno di noi, suo marito. Ha l'apparenza del fiore innocente, ma è la serpe che sta sotto, suggerisce qualcuno.

Io è di questo che vorrei vivere, di teatro e letteratura; Mademoiselle con questo vorrebbe sognare, non pretende altro dal teatro e dalla letteratura, se non che la facciano sognare e viaggiare. I sogni sono indispensabili alla vita, come i viaggi e i respiri, ripete.

Se da allora, da laggiù, alzo lo sguardo fino al me di oggi che mi chiede conto del mio agire e del mio sentire, devo riconoscere che già sapevo, intuivo ciò che non volevo ammettere, cacciavo il pensiero come si cacciano le mosche, ma più agiti la mano, più le mosche ritornano.

E tutte le mie ombre insieme contribuiscono ad alimentare la brace che mi lascia inquieto, in continua ricerca di pace, che non può prescindere dal movimento, so _ la pace non è roccia, è mare, che non sta fermo mai.

La poesia è una distesa di territori che non c'entra tanto con il contemplare, piuttosto con il fare, fabbricare, dissodare, coltivare e crescere persone caratteri idee e orizzonti.
I poeti abitano una sorta di battigia, di mobile confine, sconfine, fra dentro e fuori di te, dove ospitano i viaggiatori in forma di lettori.

Non ha ancora perdonato i suoi genitori. Molti di noi hanno un sospeso con i genitori, hanno una palude, un sepolcro imbiancato fra sé e i genitori, e non sono in grado di ammetterlo. Quaesto addolora, fa quasi vergogna.

... pèrdono e perdòno. Le vedo compenetrarsi. Dividono la stessa casa e, quando escono, prendono strade diverse. Ciò che le distingue è una sfumatura. Eccole entrambe nella stessa composizione, in queste sette lettere: perdono – ogni volta devo scegliere l'accento per pronunciare. Vorrà pur dire qualcosa, se nella nostra lingua, che riconosco come unica patria, risulta così.

Perdonare è donare il pezzo di sé che si era già perduto. È cedere. Concedere.

La scrittura è la cucitura fra lo sguardo di chi legge, ospita l'uno e l'altro ed è lei stessa cammino. Poi viene il racconto. 

Le storie non ti arrivano perché esisti e respiri, nemmeno quelle che hai vissuto. Devi andare a cercarle e riascoltarle dentro di te, riviverle, dando loro fiato.

Questo fa la grande letteratura, tiene insieme il tempo, lo svela amico, tiene insieme le persone, offre loro un'esistenza vera in cui non c'è più odo di sapere quali siano i vivi e quali i morti.

Mi chiedo se il perdono da ricevere e concedere c'entri con l'espiazione. E se può durare una vita, l'espiazione.

QUARTA DI COPERTINA

Il perdono è qualcosa che s'impara quando trasforma il dolore in una storia. Gian Luca Favetto avanza in una foresta di domande e nel suo errare trova la colpa, il dono, la poesia; e, ancor prima, il grande rito del teatro, che dal sangue di Macbeth ci conduce alla magica leggerezza di Prospero. Parla con Cervantes e con Fitzgerald, attraversa il ponte di Mostar e quello di Brooklyn, ritrova Achille e Priamo, riconosce se stesso ventenne, perduto e mai perdonato, ripara ricordi e sentimenti rimettendo insieme il tempo, le generazioni, i continenti. Così, l'uomo-scrittore lancia in avanscoperta le parole, che tornano a casa sotto forma di gesti e di respiro. Che si fanno carne, per dimorare finalmente tra noi.

PRO / INDIFFERENTE / CONTRO
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