Sono nuovo ogni giorno. Nasco quando mi alzo la mattina, durante il giorno invecchio e muoio alla notte quando vado a dormire.
Ho scoperto Paul Auster solamente pochi mesi fa, il suo 4321 però mi ha davvero stregata ed ora non vedo l'ora di recuperare la sua intera bibliografia. Trilogia di New York mi è stata regalato a Natale e, così, eccomi di nuovo entrata nel mondo di questo autore, conosciuto da poco, ma di cui già mi fido ciecamente. Avendo letto solamente questi due volumi di questo scrittore mi viene spontaneo paragonarli, perciò all'interno della recensione troverete anche qualche differenza sostanziale che io penso intercorra tra di loro.
Inizialmente avevo pensato di recensire ogni titolo di questa Trilogia in maniera sé stante poi, notando che la reperibilità dei volumi in formati separati è quasi inesistente e sapendo in quale modo sono collegati, ho deciso che, effettivamente, questo libro ha più senso se letto e recensito in un'unica soluzione. La struttura di questa Trilogia è fondamentale per la narrazione: questi romanzi brevi non devono essere letti in un ordine diverso da quello indicato, rischiereste di rovinarvi totalmente la lettura. Inoltre, vi consiglio di leggerli uno dopo l'altro o, comunque, a distanza ravvicinata, altrimenti rischiereste di perdervi alcuni collegamenti fondamentali!
La prima particolarità di cui mi sono resa conto quasi subito è la differenza tra questi tre romanzi e 4321 a livello di comprensione e scorrevolezza; mentre la Trilogia di New York è piuttosto basata sull'assurdo in 4321 troviamo una trama più lineare (per quanto suddivisa in 4 storie diverse) che rende ben più semplice seguire la narrazione. Non posso ancora fare paragoni con altre storie di questo autore ma mi è balzato subito all'occhio il paradosso: ci sono moltissime persone che mi hanno detto che temono di leggere 4321 perché le sue 939 pagine li spaventano, eppure nella realtà dei fatti, penso che questo piccolo libro di sole 314 pagine possa dare ben più filo da torcere alla stragrande maggioranza dei lettori!
Dato che lo scopo principale delle mie recensioni, oltre che a dirvi la mia opinione, è quello di farvi capire se il libro da me recensito possa fare o meno per voi, non c'è modo migliore per me di cominciare che dall'incipit.
Leggete il primo, leggeteli tutti e tre e percepite quello che vi lasciano.
L'idea che mi sono fatta io è, infatti, che questo permetterà già alla maggioranza di voi di capire se il libro in questione vi piacerà o meno: se leggendo questi incipit (specialmente i primi due) tenderete a deconcentrarvi, avrete bisogno di leggerli due volte o magari anche tre per capire il senso del discorso, ecco, saprete che Trilogia di New York non potrà mai piacervi, anzi, sarà una vera tortura per voi.
Questi incipit infatti sono estremamente coerenti con il resto della narrazione; mostrano chiaramente a cosa andrete incontro nella lettura e, ci saranno veramente poche possibilità che il seguito possa piacervi se l'inizio, invece, non vi ha dato una buona impressione.
Le trame dei tre libri sono differenti ma appartengono tutte al filone del giallo investigativo, anche se la forte valenza dell'assurdo non permette di certo di associarlo ad altri libri classici del genere. Ho apprezzato tutte e tre le storie e difficilmente potrei inserirle in una classifica di preferenza sotto questo aspetto: sono tutte e tre idee uniche e anche un po' pazze, non potevo davvero chiedere di più. Gli spunti e gli stratagemmi utilizzati che ho apprezzato sono davvero molti, ma non volendovi anticipare troppo vi dico solo che in una di queste storie potrete incontrare un personaggio che si chiama Paul Auster!
Quinn era stato un affezionato lettore di romanzi gialli. Sapeva che per lo più erano scritti male, e nella grande maggioranza dei casi non avrebbero superato nemmeno l'esame più generico; eppure era la forma che lo attraeva, e rifiutava di leggere solo quei rari gialli di bruttezza indicibile.
Un aspetto che ho gradito tantissimo in 4321 e che ho ritrovato anche qui e che, quindi, comincio a pensare sia una caratteristica dell'autore, è il finale conclusivo. Come sempre non vi anticiperò niente ma mi sembra importante rilevare come ogni volta che leggo un libro di questo autore arrivi verso la conclusione con una forma di sospetto; ho sempre una grande paura che il cerchio non venga chiuso bene, che gli aspetti fondamentali non vengano spiegati, e che il lettore, come si suol dire, rimanga con un pugno di mosche in mano. Personalmente non riesco ad apprezzare un romanzo se ho l'impressione che questo sia stato buttato lì senza una buona costruzione solida alla sua base, anche il libro più bello se giunge ad una conclusione forzata o superficiale rischia di rovinare tutto ciò che ha creato per me in precedenza.
In entrambi i volumi (Trilogia di NY e 4321), però, Paul Auster mi ha stupita: nonostante le sue storie siano intricate e strane, lui riesce comunque ad applicare un filo conduttore che spiega gli elementi fondamentali, risolvendo ogni problema di credibilità.
Come si può dedurre dal titolo del volume, tutti e tre i racconti sono ambientati a New York, sono presenti alcune frasi sulla città, ma la focalizzazione della narrazione (soprattutto nelle ultime due storie) più che verso la città è orientata maggiormente sugli ambienti interni o, comunque, su descrizioni spaziali che potrebbero essere associate anche ad altri luoghi. La terza storia, inoltre, non si svolge totalmente a New York. Per quanto mi sarebbe piaciuto che la Grande Mela avesse un'importanza maggiore all'interno della storia, dato il titolo del volume, trovo che le descrizioni siano ottimali e che inducano il lettore ad immaginare perfettamente i luoghi descritti.
Temporalmente i tre romanzi si svolgono in anni diversi; le specificazioni sotto questo punto di vista ci vengono date dall'autore solo saltuariamente e di rado in maniera nettamente precisa, il motivo c'è e lo dedurrete con l'avanzare della lettura.
New York era un luogo inesauribile, un labirinto di passi senza fine: e per quanto la esplorasse, arrivando a conoscerne a fondo strade e quartieri, la città lo lasciava sempre con la sensazione di essersi perduto. Perduto non solo nella città, ma anche dentro di sé.
Lo stile di Paul Auster mi ha definitivamente conquistata: apprezzo davvero molto la sua capacità di giocare con le parole, anche quando si è davanti ad una frase semplice si percepisce come è stata, in realtà, minuziosamente scelta e costruita al fine di mandare un determinato messaggio. Quest'ultimo aspetto si estrinseca particolarmente nella varietà di personaggi che incontriamo nel libro: non ce n'è uno che ragioni, pensi e parli nello stesso modo di un altro! Tutte le volte che entriamo nella mente di un nuovo personaggio anche lo stile cambia e ci permette di comprendere la portata della bravura di Auster ma, soprattutto, l'importanza che quest'ultimo dà alle parole. A questo proposito, Paul Auster non manca mai di riflettere e farci pensare a nostra volta, sul significato di ciò che diciamo e scriviamo e ci parla, inoltre, del ruolo della scrittura nella vita dei personaggi.
Questo è ciò che si chiama parlare. Credo che il termine sia questo. Quando le parole fuoriescono, volano nell'aria, vivono per un momento e poi muoiono. Curioso, vero? In quanto a me, non ho alcuna opinione. No e un'altra volta no.
Non ho trovato la caratterizzazione dei personaggi in generale particolarmente importante; Auster non si è affatto incentrato su questo aspetto, si è focalizzato solamente su ciò che veniva provato dai suoi protagonisti. Non lo ritengo un fattore negativo perché, le tre storie sono state volontariamente incentrate su pochi punti di vista, al fine di ottenere un maggior mistero, ne deriva necessariamente che i personaggi secondari non possano essere nulla più che delle ombre.
Non desiderava più essere morto. Del resto, non si poteva dire che fosse contento di vivere. Ma almeno non se ne rammaricava.