Tutto sta amar qualcosa a questo mondo.
Si può recensire un classico senza essere dei critici letterari o degli esimi professori di letteratura?
Quest'estate sui social, specialmente Instagram, c'è stata una grande polemica al riguardo che mi ha lasciata piuttosto attonita.
Io, da sempre, ho stabilito come mission di Leggo Quando Voglio, quella di descrivere un libro in più elementi possibili, in modo tale da dare un'idea a chiunque delle caratteristiche di ogni romanzo.
A questi dati, che riporto in maniera più oggettiva possibile, aggiungo opinioni personali, voti e consigli perché mi sembra giusto, e decisamente più limpido, dichiarare anche quanto io ho personalmente apprezzato la lettura.
Sono una lettrice piuttosto esperta e questo mi è sempre bastato per pensare di poter essere capace di raggiungere lo scopo che mi sono autoprefissata: far capire con le mie parole, a ogni tipo di lettore, se quel libro può piacergli o meno e se per lui, vale la pena acquistarlo.
Va da sé, che quando si legge un classico, si speri di comprenderne il valore.
È veramente una posizione scomoda quella di notare aspetti che non apprezzi in una lettura divenuta immortale e elogiata dai più.
Se i classici sono diventati tali, un motivo c'è sempre; io non sono qui a svalutarli, mi permetto solo di dire il perché possano piacere o non piacere a chi li leggerà ed è piuttosto evidente che, se io stessa non li apprezzo, qualcosa di negativo da scrivere l'avrò notato.
Questa premessa perché con Ritratto di Signora ho avuto un vero e proprio smacco: di Henry James ho già letto e recensito L'Americano, romanzo decisamente meno conosciuto, e l'ho apprezzato tantissimo. Non mi sarei mai, dunque, aspettata di trovare così poco interessante uno dei suoi libri più famosi e rinomati. Quando un classico non mi piace, specie se l'autore mi aveva già conquistata in precedenza, ho sempre il dubbio di stare facendo un errore. Eppure queste recensioni non avrebbero senso se non indicassi a voi tutto ciò che noto; perciò, anche se con rispetto, cominciamo.
La prima cosa che devo ammettere su Ritratto di Signora di Henry James è che penso che la mia impressione iniziale sia stata largamente condizionata dalla traduzione del mio volume (Newton Compton, MiniMammut). Partendo dai presupposti che non sono una traduttrice, né ne ho le competenze e che non avevo a disposizione il testo a fronte per verificare, nel mio piccolo, il lavoro del traduttore, ho avuto grandi difficoltà con la mia edizione, a prescindere dalla sua validità.
Se Henry James è famoso per il suo stile molto prolisso e arzigogolato, ricco di dettagli e di subordinate, la traduzione in italiano del mio volume è quella che lo rappresenta con un maggior numero di parole. In più occasioni ho avuto vere e proprie difficoltà a comprendere di cosa si stesse parlando, e non a causa di significati a me sconosciuti, ma proprio perché mi sembrava mancassero alcune parole chiave e che, in cambio, ve ne fossero altre inserite per vezzo, che confondevano il significato sottostante.
Fermo restando che questo potrebbe essere vero anche per il testo originale, questo aspetto mi ha impedito di apprezzare il primo quinto del testo. Successivamente mi sono procurata una versione differente (Einaudi) e le cose sono migliorate, sebbene l'impressione sgradevole iniziale probabilmente, avesse ormai inficiato la piacevolezza generale della lettura e, nonostante questo, devo ammetterlo, io non abbia trovato particolarmente ben scritto nemmeno il nuovo testo.
In tal proposito, anche se non credo si possa notare molto in così poche parole, ho inserito nella sezione incipit l'inizio di diverse edizioni: come vedrete le stesse due frasi vengono tradotte con un numero di parole ben diverso e in modo più o meno intricato. Non so dirvi quale sia la traduzione più valida ma, personalmente, credo che se avessi avuto a disposizione l'edizione BUR, ora vi starei parlando di questo romanzo con toni differenti, dato che per me lo stile è ciò che qualifica la lettura e tutto il resto va automaticamente in secondo piano.
Secondo aspetto dopo lo stile, che mi è mancato in quest'opera rispetto a ciò che mi aspettavo, è la tipica ironia di James al riguardo della società e delle sue convenzioni. La dicotomia tra Europa e America viene rappresentata anche in questo testo ma non in modo così marcato da renderlo speciale e diverso da altre opere dell'epoca.
Questo aspetto si nota principalmente (se non totalmente) nei dialoghi che, infatti, sono l'unico elemento in cui posso dire di aver ritrovato, almeno in parte, l'autore conosciuto in L'americano.
La trama del libro parla di Isabel Archer, giovane americana che, grazie alla decisione di una volubile zia, comincia a viaggiare per l'Europa, scoprendo tutti i valori, gli usi e i costumi e le personalità del Vecchio Continente. Si comprende sin da subito che il destino di Isabel sarà quello di sposare uno dei tanti pretendenti che incontrerà lungo questo cammino.
Lo svolgimento, però, stupisce. Mentre io mi aspettavo che James indugiasse sul viaggio di Isabel per l'Europa, sfruttando l'occasione per mostrare i diversi comportamenti delle persone appartenenti ai due differenti continenti e a ceti sociali contrapposti (così come succede più evidentemente ne L'Americano) qui salta bruscamente di anni e mesi, facendo trovare tutto d'un tratto Isabel che sta per sposarsi (con chi lo lascio scoprire a voi) e, successivamente, la ritroveremo già sposata da anni e scopriremo se la sua scelta sarà stata felice o meno.
Questi balzi temporali non accelerano il ritmo di lettura, sebbene possano incuriosire il lettore che vorrà necessariamente comprendere il perché di determinate scelte. Come accade spesso è lo stile a rendere lenta la lettura, oltre che ai pochi veri e propri accadimenti della vicenda.