Credevano di essere seri, ma non lo erano. E se non sei serio questo posto non fa per te.
Punto Omega è il penultimo romanzo pubblicato di Don DeLillo.
Uscito nel 2010 sia in lingua originale che in Italia per Einaudi, questo romanzo è una piccola perla di poco più di cento pagine.
Lo segue Zero K., pubblicato nel 2016, che, per quanto tratti una trama completamente diversa, ne completa in realtà il concetto fondamentale che, come si può arguire dal titolo, è quello del Punto Omega, termine coniato da Pierre Teilhard de Chardin, che indica il massimo livello che la coscienza può raggiungere della consapevolezza di sé.
Perché adesso arriva l'introversione. Padre Teilhard lo sapeva, il punto omega. Un salto fuori dalla nostra biologia. Chieditelo. Dobbiamo essere umani per sempre? La coscienza è esaurita. Ora si ritorna alla materia inorganica. È questo che vogliamo. Vogliamo essere pietre in un campo.
Probabilmente questa mia introduzione vi ha già gatto capire il concetto principale e, per me, fondamentale nel descrivere DeLillo: è un autore difficile, anche pesante, ermetico, complicato, da capire. Don DeLillo è un autore per pochi, perché solo se si entra in sintonia con lui lo si può apprezzare, lui non fa proprio nulla per farvi entrare (ed è un ex pubblicitario, le armi per farlo le avrebbe eccome).
Don DeLillo va letto per quella che Nabokov (scusate se lo cito sempre ma, a causa del MegaGDL in corso è ormai parte integrante delle mie letture 2019) avrebbe chiamato Voluttà Estetica (fermo restando che lo scrittore russo non l'avrebbe mai e poi mai associata a questo scrittore del Bronx con origini italiane; veramente molto poco francese ed elegante).
Il piacere, così come nella stragrande maggioranza degli autori che scrivono Alta Letteratura, deve essere nel viaggio, o meglio ancora, nel mezzo di trasporto che ci trascina fino a destinazione.
È lo stile, dunque, a rendere ogni romanzo di DeLillo qualcosa di inestimabile, che va letto e riletto e che, personalmente, mi esalta ogni volta che leggo qualcosa di scritto da lui. Anche solo nel rileggere le citazioni per riportarvele ho sentito le parole di DeLillo aprirmi la mente e stravolgermela completamente. Non si può prevedere prima se questo accadrà anche a voi: l'unica soluzione è provare.
Il motivo per cui, invece, DeLillo non andrebbe mai (mai assolutamente mai e ancora mai) scelto è per la trama. Non fraintendetemi, mente chiunque sostenga che all'interno dei suoi libri "non succede niente", anzi, sono quasi certa che chiunque ne legga una sinossi (di qualunque suo libro) abbia un'immediata voglia di leggerlo. Perché la verità è che le idee da cui parte questo autore sono sempre interessanti e geniali, il problema è che sono anche l'unica cosa che c'è nel romanzo: in pratica, se avete letto la sinossi non avete altro da scoprire su quello che accadrà. Questo è un difetto? Dipende. Io sono fermamente convinta che noi lettori abbiamo sì il dovere di comprendere un testo al meglio possibile (e sotto quest'ottica la trama scarna non può essere un difetto perché deriva da una scelta), ma poi abbiamo anche il diritto (aggiungiamoci anche un sacrosanto per enfatizzare il concetto) di decidere cosa ci piace e cosa no.
E la conclusione di molti lettori sarà che, appunto, non gli piace. Mi rendo conto, infatti, che se non si verrà travolti dal suo stile rimarrà poco altro da trovare, e tremo solo al pensiero della reazione che potrebbe avere un lettore che gli si approccia solo perché legge la trama e pensa, magari, di imbattersi in un thriller.
Fatta questa lunga e interminabile premessa, devo ammettere che la conclusione di Punto Omega è la più conclusa (sì, serviva la ripetizione, necessariamente) che io abbia mai letto nella penna di questo autore.
Voi direte, ma come non ci hai detto nemmeno la trama e già salti alla conclusione?. Sì, avete ragione, il problema è che l'unica cosa che si possa dire della trama che non sia un'anticipazione vera (sconsigliatissimo leggere la sinossi) è questo: il giovane protagonista vuole girare un film/documentario/intervista ad un uomo e, quest'ultimo, lo invita a stare con lui per un po' in una casa persa in pieno deserto. In un altro piano narrativo si parla, invece, di un uomo che guarda Psycho, il celebre film di Hitchcock, alla 24 hour Psycho, una reale installazione artistica di Douglas Gordon in cui il film originale veniva proiettato al rallenty e senza sonoro in modo che si svolgesse in 24 ore.
Richard Elster aveva settantatre anni, io meno della metà. Mi aveva invitato a raggiungerlo lì, casa vecchia, pochissimi mobili, in qualche punto a sud del nulla nel deserto di Sonora, o forse era il deserto del Mojave o un altro deserto. Una visita breve, così aveva detto.
Il finale, come è ovvio, riguarda un accadimento che nelle mie poche e ben selezionate righe di trama non è presente e che, personalmente, ritengo non si debba sapere prima di leggere il romanzo. Tornando alla conclusione, dunque, è la prima volta che DeLillo la esplicita così platealmente (tra i suoi romanzi che ho già letto, ovviamente), se non si conta Cosmopolis, che ho trovato un libro "diverso" dagli altri. Per par condicio mi trovo obbligata ad ammettere, però, che molti di voi non saranno di certo d'accordo con me e la troveranno non così evidente.
E, a seicentoottantasette parole dall'inizio, mi rendo conto di non esservi ancora riuscita a trasmettere, neanche lontanamente, cosa si prova/si può provare/provo leggendo un libro di questo autore. Ma io, presumendolo ancora prima di iniziare, mi sono fatta furba.
Da sempre penso che nei libri, specialmente quelli belli, ci siano spesso frasi che raccontano i libri stessi nel migliore dei modi. In realtà il mio lavoro potrebbe essere più semplice di quello che effettivamente dimostra di essere, se solo riuscissi ad ammettere che, talvolta, con tre citazioni scelte ad hoc, avrei già fatto un lavoro migliore di quello che potrei mai ottenere con la mia prosa, decisamente più deludente.
A volte una cosa difficile è difficile perché la fai male.
Dunque, oggi, proviamo a fare così!