Voglio soltanto la verità. E voglio giustizia. La giustizia non è la somma di una serie di fatti: è una questione molto più complessa.
La verità sul caso Harry Quebert è il terzo libro pubblicato da Joël Dicker e primo suo romanzo che mi sono apprestata a leggere.
A brevissimo uscirà una serie televisiva con Patrick Dempsey nei panni di Harry Quebert.
L'ho letto tramite un gruppo di lettura da me creato e, questo, ha portato a due conseguenze piuttosto disastrose. Della prima vi parlerò quando tratterò l'argomento ritmo, della seconda, invece, voglio spiegarvi il più brevemente possibile sin da ora.
Forse avrete notato che su Leggo Quando Voglio i voti (tanto) negativi ci sono, ma non sono frequenti come quelli positivi, questo non è perché io sia particolarmente buona (molti emergenti avrebbero molto da dire su questo argomento!), ma perché effettivamente io detesto leggere qualcosa che non mi piace. Dunque, in genere, io porto a termine un libro solamente quando non mi dispiace più di tanto o se sono obbligata, per un motivo o per un altro, a leggerlo. I libri che abbandono, poi, non li recensisco, perché senza conoscere in toto una lettura non mi sento in grado di poterne parlare e mi sembra anche ingiusto farlo.
La verità sul caso Harry Quebert è, purtroppo, rientrato nei casi di "obbligo di lettura"; il gruppo di lettura era il mio e, abbandonarlo, sarebbe stato del tutto sconsiderato. Il romanzo, però, è lungo quasi 800 pagine e ci ha occupato due mesi di vita, perciò, come capirà chiunque abbia mai letto qualcosa che non ha amato, è stata particolarmente dura affrontare questa lettura settimana dopo settimana. Questo mi ha creato grande pesantezza e, lo ammetto, anche del rifiuto. Per questi motivi mi rendo conto che, quasi sicuramente, mi scapperanno anche opinioni soggettive in questa recensione, perché sì, è una lettura che ho preso sul personale, anche se in negativo.
Ricordo che la mia opinione non è mirata a offendere nessuno, autore, editore o i lettori che lo hanno apprezzato, ma non avrebbe senso scrivere una recensione senza ammettere ciò che penso realmente, perciò, vi chiedo di non prenderlo come un giudizio ma come un'opinione legittima.
Ed ora iniziamo!
Pare evidente sin da subito che l'elemento principale di questo volume sia la sua struttura, su di essa è stato indubbiamente fatto un grande lavoro. Questo è l'elemento che ho maggiormente apprezzato del volume e, riconosco, che se il libro fosse stato scritto in modo diverso, ma seguendo questo schema, avrei potuto innamorarmene perdutamente e, grazie a questo, riesco a capire il perché sia piaciuto a così tante persone.
Prima di tutto la narrazione non è lineare, presenta al suo interno numerosissimi flashback indirizzati a periodi temporali differenti. I piani narrativi fondamentali sono quello che possiamo chiamare presente, in cui il protagonista si trova ad indagare sul caso Harry Quebert, quello del passato, in cui succedono effettivamente gli accadimenti legati al caso, e quello del passato remoto in cui viene raccontata la prima giovinezza del protagonista e del suo incontro con Harry Quebert. Questa struttura sfalsata ha una doppia funzione: aggiunge informazioni che non sono direttamente legate al caso "rimpolpando" il contenuto (altrimenti esiguo) della storia vera e propria e, soprattutto, aiuta ad aumentare la suspense perché, come è ovvio, il tutto viene inserito alfine di intervallare i momenti di effettiva scoperta della verità e di gettare discredito sulle diverse teorie appena avanzate.
Altro aspetto strutturale che viene apprezzato di questo volume è, certamente, l'antefatto di ogni capitolo. Prima di iniziare un nuovo capitolo, infatti, proprio sotto al numero che lo contraddistingue, troverete sempre alcune righe (talvolta pochissime, altre volte anche più di una pagina) in cui troviamo dei consigli di scrittura che il mentore del protagonista gli ha elargito in passato. I capitoli sono discendenti e scandiscono, dunque, un conto alla rovescia che mira ad arrivare al gran finale del romanzo.
L'elemento che, invece, mi ha stupita negativamente e che ha influenzato tutta la mia valutazione, è lo stile di scrittura. Piccolo disclaimer: nulla da dire, forse per la prima volta in assoluto in un romanzo che trovo scritto male, all'editore, che ha evidentemente fatto tradurre e ha curato l'edizione molto bene, in questo caso penso che il mio problema sia sorto proprio con quanto Dicker aveva intenzione di dire e quindi con la forma e il contenuto originale.
Parto a parlare di questo elemento, che sarà sicuramente causa del maggiore fastidio per i lettori che amano l'autore e che, ovviamente, non saranno d'accordo con me, con quello che per me è più facilmente riscontrabile: la poca verosimiglianza dei dialoghi. Ce ne sono alcuni (pochissimi) che non mi hanno, come si suol dire, "fatto storcere il naso", ma in tutti gli altri i personaggi (tutti) hanno un modo di interagire tra loro poco credibile e ricco di frasi fatte. Ho avuto costantemente l'impressione di stare leggendo una parodia di quello che, effettivamente, si dice nei classici film e telefilm gialli, ma anche in quelli d'amore più stucchevoli.
Anche nello stile i cliché, i modi di dire, il "si dice", le frasi ad effetto, coprono tutto ciò che non è trama vera e propria. Sono davvero numerose e per chi, come me, non le ama, è pressoché impossibile apprezzare anche solo una pagina di questo testo. Riconosco che alcune, se prese singolarmente, mi avrebbero potuto colpire maggiormente ma, inserite così "nel mucchio", sono state difficili da apprezzare e distinguere da tutte le altre. Ripetutissima è la formula "la vita è come...." con analogie sempre diverse.
Vi lascio alcuni esempi per far capire il mio punto di vista e farvi così scoprire, in caso non l'aveste letto, se potreste avere la mia stessa reazione o se, invece, potreste apprezzare questo aspetto.
Stereotipi: Douglas rispose con lo schietto buonsenso che caratterizza la gente del Midwest.
Pillole di saggezza:"Mi trovi pienamente d'accordo. La vita è una lunga caduta, Marcus. La cosa più importante è saper cadere."
Cliché sugli scrittori e sulla scrittura:Mentre riflettevo, mi sentii pervadere da una sensazione strana, che non sperimentavo da tempo: avevo voglia di scrivere. Scrivere ciò che stavo vivendo, ciò che stavo provando.
Frasi ad effetto: E mi ero detto che una stella cadente era una stella che poteva essere bella ma per paura di brillare scappava il più lontano possibile. Un po' come me.