Recensione

Il problema non è che tutto dev'essere un libro. È che ogni cosa può essere un libro. E non conta, come vita, finché non lo è.

Sono passati due anni da quando ho cominciato a leggere le opere di Philip Roth e, ormai, mi posso considerare una lettrice esperta di questo autore, per quanto mi manchino ancora da leggere diverse sue opere e che sia consapevole che, finché non avrò letto la sua intera bibliografia, non potrò dire di conoscerlo come chi, invece, l'ha già fatto.

Come è giusto che sia, da maggiore esperienza deriva anche una maggiore aspettativa; continuo a stupirmi della sua genialità e della sua bravura, ma è inevitabile accorgermi che, pur trattandosi di un livello sempre molto alto, non tutti i suoi libri sono ugualmente belli.

Il caso di La lezione di anatomia è lampante; non ho dubbi che, se l'avessi letto per primo, avrebbe ricevuto un voto ben più alto di questo, però io lo sto leggendo ora, dopo aver scoperto autentici capolavori dell'autore e, perciò, la mia critica sarà ben più aspra di come lo sarebbe stata se non avessi già conosciuto ed apprezzato, in precedenza, la grandezza di Philip Roth.

Prendete perciò il voto in stelline e in decimali e il giudizio pro, indifferente e contro, per quello che sono; un paragone con le altre opere dell'autore e non un giudizio in senso assoluto.

Gli argomenti su cui si va sempre sul sicuro con Roth sono due: lo stile e l'ironia.

Fortemente collegati tra loro, questi due aspetti rendono piacevole la lettura di qualsiasi cosa possa uscire dalla penna dello scrittore; se pubblicasse la lista della spesa scritta alla Roth la leggerei estremamente volentieri.

Questo perché per me, il valore principale di un autore, soprattutto se di letteratura alta è il suo stile, il resto viene solamente dopo. Se uno stile non è ben riconoscibile o non mi piace (sia per criteri oggettivi che soggettivi), allora non riuscirò ad apprezzare nulla del romanzo, per quanto oggettivamente possano esserci aspetti ben trattati e definiti che, indubbiamente, evidenzierei per voi nella mia eventuale recensione.

Dello stile di Roth vi parlo da talmente tanto che, ormai, di cose da dire in aggiunta ce ne sono poche, mi limito perciò a dirvi cos'ha di speciale: è un maestro.

Questo scrittore non solo conosce le parole ma le ama, è consapevole di ogni loro piccolo significato, di ogni sfumatura.

Roth non scrive mai una cosa come viene, la gira, la rigira, la ruota ancora e, se è abbastanza ingarbugliata da poter esprimere tutto in poco allora sì, capisce che è quella la formula giusta da utilizzare.

Per fare questo ci vuole un'ottima cultura lessicale ma anche intelletto. Quest'ultimo aspetto viene trasmesso anche grazie alla forte ironia.

Roth riesce ad essere incisivo non essendolo affatto, perché tutto ciò che leggi di suo ha un doppio significato e si nasconde dietro moltissime altre parole. È impossibile apprezzarne la scrittura se non si nota che dietro alla sua forte ironia si nasconde qualcosa che va al di là della banale battuta e che la costruzione della frase è stata scelta per un motivo ben preciso.

L'incipit del libro è vincente. Si apre un romanzo di Philip Roth, si legge la prima frase e si capisce già che non lo si poserà più; ti cattura. Ciò che vi dicevo su stile ed ironia si denota già qui; provare per credere.

Per quanto riguarda la storia trattata al suo interno; troviamo uno Zuckerman malato, costretto a letto da mesi e che non riesce a farsi diagnosticare cosa abbia. L'idea è originale ed interessante, la trama non è particolarmente estesa nella prima parte ma porta a moltissime considerazioni sulla malattia e sulla necessità dello scrivere davvero impagabili.

Ogni pensiero e ogni sensazione paralizzati dall'egoismo del dolore, un dolore che gira eternamente su se stesso, riducendo ogni cosa tranne l'isolamento: prima è il dolore che svuota il mondo, poi lo sforzo per vincerlo.

Lo svolgimento, invece, l'ho apprezzato meno. Qui troviamo la dinamica che, sicuramente, il lettore si aspetta di trovare (un intero romanzo solo fatto di pensieri non piacerebbe a chiunque, purtroppo!) ma, per quanto io apprezzi l'arguzia di Roth, non sono riuscita ad entrare pienamente in ciò che accade all'interno del libro. Mi è chiara l'ironia, mi sono anche divertita, ma per gusti personali apprezzo poco i testi esageratamente spinti; volgarità che vengono dette per motivi ben precisi, ma che comunque avrei apprezzato convergessero in qualcosa di diverso.

Il finale è stato piuttosto deludente. Capita spesso a Roth di raccontarci una vicenda accaduta al suo Zuckerman, senza premurarsi di farci conoscere perfettamente il prima o il dopo ma, in La lezione di anatomia, ha esagerato anche rispetto ai suoi standard.

La vicenda si blocca in un punto di cui tutti avremmo voluto conoscere il seguito, inoltre, vi anticipo anche che ho già letto il libro successivo a questo, L'orgia di Praga(di cui uscirà presto una recensione) e che non vi è fatta alcuna menzione al riguardo delle vicende della storia di cui vi sto parlando oggi.