Lo intitolai Il libro della follia umana, e pensavo di riportare in esso, con il linguaggio più semplice e chiaro possibile, il racconto di tutti gli svarioni e capitomboli, i pasticci e i pastrocchi, le topiche e le goffaggini in cui ero caduto nella mia lunga e movimentata carriera di uomo.
Paul Auster è uno di quegli autori che, ormai, rappresenta per me un porto sicuro. Follie di Brooklyn, infatti, è stato un fuori programma che mi sono concessa proprio perché sentivo la necessità di leggere qualcosa che avrei apprezzato sicuramente.
Trattandosi solamente del quinto romanzo che leggo sui diciotto scritti, non posso ancora dichiarare di conoscere perfettamente la bibliografia di questo grande autore, ma se dovessi avvicinare l'esperienza di lettura di questo romanzo ad un altro di Auster, lo paragonerei certamente a quella di Leviatano.
In Follie di Brooklyn non si parla d'altro che della vita quotidiana, quella che potrebbe vivere ognuno di noi e che, certe volte, può portarci a scelte assimilabili a vere e proprie follie, perlomeno se valutate con il senno di poi. La trama del libro è, perciò, piuttosto semplice: adatta più a chi ama leggere della realtà; matrimoni, divorzi, problemi di soldi, amicizie, cotte e rapporti genitore-figlio oltre che a molte stravaganze (tipicamente Austeriane), piuttosto che un determinato genere letterario.
La struttura del libro è una delle preferite dall'autore (e anche dalla sottoscritta): un libro nel libro in cui il narratore è anche uno dei protagonisti. Le sue parole si confondono totalmente con quelle di Auster, facendoci spesso volutamente dimenticare che non sia veramente lui, colui che ci sta raccontando della sua vita e delle sue amicizie e che a volte, si rivolge direttamente a noi, consapevole della nostra presenza.
E anche se nelle pagine successive di questo libro compare raramente, in effetti c'è sempre. Aspettatevi di scorgerla tra le righe.
L'ambientazione è piuttosto semplice da indovinare: Brooklyn in tutte le sue sfaccettature. Vista dapprima come qualcosa di estraneo e descritta, poi, per le sue particolarità. Questo elemento per quanto importante non viene ripetuto o approfondito quanto potremmo aspettarci leggendo il titolo.
Ci sarà un altro luogo molto importante nella narrazione, un luogo sperduto del Vermont.
Le descrizioni di stanze e luoghi specifici sono presenti ma non fondamentali.
Lo stile è fortemente ironico. Auster gioca con le parole mostrando un'ottima abilità nel riuscire a combinare scorrevolezza, divertimento e significato. La sua stravaganza si nota in particolare nel capitolo scritto come se fosse una sceneggiatura.
Questo autore mi colpisce ogni volta per la sua capacità di divagare consapevolmente. In nessuna sua opera che ho letto, infatti, mancano frammenti totalmente lontani dallo scopo primario della narrazione. Questo aspetto rende gli scritti di Auster particolarmente credibili, proprio perché vengono inseriti da lui ad hoc per darci la sensazione di leggere qualcosa di reale. Come in un discorso reale, infatti, il narratore indugia su dettagli importanti per lui ma non oggettivamente necessari, dandoci un'ulteriore riprova della sua personalità e del fatto che chi parla è una persona realmente esistente, dotata di gusti personali e proprie piccole ossessioni.
Per questo motivo non posso definire il ritmo veloce, nonostante la scrittura non sia affatto pesante o lenta. Sono totalmente consapevole che questo aspetto possa disorientare alcuni lettori, anche se io mi diverto molto davanti a questi siparietti di vita ordinaria, tanto che difficilmente riuscirei a riconoscere un Paul Auster senza questo suo marchio di fabbrica.
Perché indugio su questi dettagli? Perché la verità della storia sta nei dettagli, e io non ho altra scelta che raccontarla esattamente come si è svolta.
Questo aspetto influisce sullo svolgimento che, per quanto comprensibile, differisce spesso da ciò che ci si aspetta. Il narratore di questo libro ci dice, infatti, che la storia che racconterà è su Tom, uno dei protagonisti del romanzo, ma ci sarà ben chiaro che, sebbene il focus possa essere considerato quello, in questo libro troveremo molto di più e che il suddetto Tom non sarà, di certo, l'unico protagonista della storia.
Altra caratteristica immancabile è l'incipit ad impatto. L'autore sa esattamente come attirare l'attenzione e il suo Stavo cercando un posto tranquillo per morirelo dimostra chiaramente.
Il finale colpisce altrettanto, anche se per un motivo differente. Dopo un'intera lettura divertente ma apparentemente priva di messaggio ecco che, con un'unica frase, l'autore ribalterà completamente le carte in tavola. Sconsiglio vivamente di leggere la sinossi per intero.
I personaggi di Paul Auster sono uno degli elementi che apprezzo maggiormente nei suoi scritti. Sono sempre diversi, mai unicamente buoni o solamente cattivi, intelligenti e spesso molto acculturati ma ironici e autoironici al punto da prendersi sempre poco sul serio.
Le loro personalità vengono descritte a 360 gradi senza darci l'impressione di farlo, l'effetto di stare semplicemente leggendo il racconto di una persona reale che ci parla dei suoi amici realmente esistenti, non ci abbandona mai.
In conclusione, Follie di Brooklyn di Paul Auster è un romanzo piacevole, divertente ma significativo. Le capacità dell'autore sono indubbie e ben visibili, ma forse in questo romanzo l'azzardo è minore, nonostante il termine Follie del titolo possa far pensare al contrario.