Recensione

Per esempio, se tutta questa gente avesse in comune... la morte.

Io e Agatha Christie abbiamo sempre avuto un rapporto difficile: a 12 anni ho letto Assassinio sull'Orient Express per la prima volta, e non l'ho apprezzato particolarmente.

Per questo motivo ho lasciato sempre da parte i suoi libri finché, cinque anni fa, non ho riprovato con 10 piccoli indiani, libro che mi è piaciuto di più perché gli ho riconosciuto una certa dose di genialità ma che, effettivamente, sotto moltissimi punti di vista non mi aveva entusiasmata. Dopo quel giorno, ho deciso che io e Agatha non eravamo forse fatte l'una per l'altra e ho lasciato perdere ulteriori tentativi.

In questo 2017, però, è uscito il nuovo film di Assassinio sull'Orient Express e, visto il cast eccellente, ero davvero curiosa di vederlo. È nata da sé la necessità della rilettura del libro, perché ricordavo ben poco (possiamo dire nulla) della trama e, inoltre, speravo di cambiare idea su un'autrice che rispetto ed ammiro per essere stata la pioniera del genere giallo al femminile.

Il mio problema principale con A. Christie è relativo al suo stile: fatico a farmelo piacere.

Ho scoperto, in realtà, che i suoi libri non sono stati tradotti letteralmente nelle vecchie edizioni e che solo le nuove edizioni sono realmente fedeli a ciò che viene scritto dall'autrice. L'edizione che possiedo io è piuttosto vecchia, perciò quanto dirò (e le relative citazioni) sarà collegato a ciò che ho letto e non a ciò che potrebbe esserci scritto nell'originale e nelle nuove traduzioni. Anzi, mi sono ripromessa di leggerla ancora in lingua originale per poterla giudicare con maggiore consapevolezza.

Dello stile della Christie non mi piace la poca profondità; sicuramente si tratta di una narrazione leggera ed informale ma non corrisponde all'idea di classico che ricerco ed è un aspetto che non apprezzo in un libri giallo; apprezzo molto di più lo stile di Sir Arthur Conan Doyle, sempre ironico ma ben più ricercato e formale.

Inoltre, è piena di stereotipi e luoghi comuni, che anche tenendo conto dell'anno di pubblicazione del romanzo, 1934, mi paiono davvero esagerati e poco interessanti da leggere.

L'aspetto che, invece, gradisco enormemente, è la capacità di ironizzare. L'impressione che ho avuto di questa scrittrice è quella di una donna intelligente che riesce, però, a non prendersi sul serio. Anche per questo mi dispiaccio di non riuscire, invece, a trovare queste qualità nello stile. Probabilmente alcuni degli aspetti che non mi sono piaciuti sono nati proprio dalla volontà dell'autrice di voler ampliare l'ironia a tutto; purtroppo però l'ironia mi è piaciuta ma la sua estremizzazione in alcuni altri elementi della narrazione no.

I dialoghi sono l'elemento in cui l'autrice dà il suo meglio e, al contempo, il suo peggio: la maggioranza delle frasi migliori vengono estrapolate proprio da essi, non a caso nel film molte sono state riportate quasi pedissequamente, ma anche le banalità sono piuttosto evidenziate. C'è da dire, comunque, che i dialoghi sono qualitativamente superiori alla semplice narrazione.

I personaggi descritti sono molto variegati tra loro ma profondamente stereotipati. In più punti del romanzo vengono descritti i loro lati estetici per caratterizzare la loro personalità, aspetto che non apprezzo in alcun romanzo. Inoltre, l'appartenenza a l'uno o l'altro Paese rende loro delle macchiette semplicissime da analizzare per il detective belga. Mi sono resa conto che quanto vi ho appena detto faccia parte del gioco; le esasperazioni dei caratteri sono certamente volute e, penso, che siano state fatte per rendere il tutto più divertente. Non rientrano, però, nel mio gusto personale né per quanto riguarda i discorsi in sé, né per quello che ricerco da un giallo: mi è impossibile sentire l'atmosfera degli accadimenti infilati in mezzo alle divertenti sciocchezze.

Il personaggio più importante, nonché quello maggiormente caratterizzato e meno stereotipato è, indubbiamente, Hercule Poirot, il protagonista. Il detective belga ha una personalità spiccata e, a tratti, divertente. Nemmeno lui mi ha colpita particolarmente ma, in mezzo agli altri, è indubbio che questo personaggio sia il meglio reso.

Come anticipato, l'atmosfera l'ho sentita ben poco: mi sono divertita davanti all'ironia dell'autrice ma non mi sono affatto preoccupata per i passeggeri. Chiunque fosse stato l'assassino non avrei battuto ciglio sulla sua sorte o quella della vittima: non vedevo i personaggi come persone reali, con veri sentimenti. La suspense in un giallo per me non è fondamentale come in un thriller, è bene però che non manchi del tutto.

L'ambientazione, come si deduce dal titolo e, come tutti saprete, è il treno Orient Express, dove i nostri personaggi si apprestano ad affrontare un viaggio di ben tre giorni. A questo aspetto viene data molta rilevanza: non solo viene ribadito più volte che si tratta di un luogo particolare e perfetto per un romanzo, ma alla collocazione dei vagoni viene data un'importanza fondamentale. Un'ambientazione certamente affascinante che scaturisce da un'ottima idea dell'autrice, l'ho assolutamente apprezzata.

L'incipit del romanzo non mi ha grandemente colpita: ci fa entrare immediatamente in un'ambientazione che, inizialmente, può spaesare perché non è quella che ci aspetteremmo e introduce il personaggio di Poirot senza troppi fuochi d'artificio. Sicuramente se lo stile dell'autrice mi avesse colpita di più, sarei riuscita ad apprezzarlo maggiormente.

L'idea di partenza, come anche quella di Dieci Piccoli Indiani, la trovavo molto interessante ed intelligente: una quindicina di persone bloccate sullo stesso treno e un assassinio! Cosa si potrebbe chiedere di più? La trama, perciò, mi ha da subito trovata favorevole e pronta ad entusiasmarmi per la risoluzione del caso.

Purtroppo, lo svolgimento non ha soddisfatto del tutto la mia curiosità: alcuni aspetti, quali gli interrogatori e gli appunti di Poirot mi sono piaciuti molto, altri che non posso anticipare perché si ricollegano al finale, invece, mi hanno fatto, da subito, storcere il naso: era impossibile che introducendoli la conclusione non fosse deludente.

E, difatti, ciò che ho apprezzato meno di questo romanzo è stato proprio il finale: strutturato e credibile per quanto riguarda le prove riportate nel testo ma, veramente triste per chi legge un giallo per riuscire a raggiungere alla soluzione del caso grazie agli indizi raccolti. Ho trovato che, sia in questo libro che in Dieci Piccoli Indiani gli escamotage inseriti dall'autrice per risolvere il caso fossero troppo un deus ex machina: certo, vengono spiegati bene, ma perché scrivere una trama intricata solo per farla concludere in un modo che non poteva essere pensato perché non attinente a ciò che viene raccontato al lettore? Ho letto che questo viene considerato un pregio della scrittrice: a molti lettori piace scoprire un finale che non avrebbero mai potuto indovinare, ma colpi del genere io li prediligo in un thriller, in un giallo preferisco che sia l'intuizione a prevalere.

La struttura mi è piaciuta: all'inizio di ogni capitolo ci viene detto chi sarà l'interrogato o l'evento rilevante. Anche la coesione degli elementi è ben collegata; per quanto non abbia apprezzato lo sviluppo della trama, esso non è campato per aria e ben costruito.